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Leggendo recensioni, critiche, appunti e semplici opinioni sul film, il primo elemento offerto al lettore è il paragone con il libro: non c’entra niente, ha travisato l’opera, non male ma tradisce l’atmosfera, attinente ma senza slanci, dove sono le passioni dei protagonisti… e via così… Lo dico subito: passi per semplici spettatori come me ma i critici, dove hanno studiato? Credo che una delle prime cose da insegnare (e non so se sia realmente così o meno, non avendo mai studiato cinematografia o critica) sarebbe l’assoluta autonomia dell’opera cinematografica dalla sua fonte di ispirazione: che sia un fatto di cronaca, un romanzo, un sogno o una semplice elucubrazione poco importa, il film è qualcosa a sé stante e come tale dovrebbe essere giudicato, almeno da chi è pagato per farlo. La questione dell’attinenza o meno al testo e delle tecniche di trasposizione sullo schermo dovrebbe casomai essere oggetto di qualche dotto corso di sceneggiatura, giammai convertirsi nell’ossessione dello spettatore del film: così è opportuno leggere il mio riferimento al romanzo nell’abstract iniziale, come pura e semplice segnalazione della fonte ispiratrice del film, soprattutto in questo caso, dove l’opera scritta è il frutto del genio di uno dei più grandi intellettuali italiani del novecento e cioè Goffredo Parise. Poi, una volta seduti in poltrona, è bene dimenticarsi del riferimento e godersi qualcosa che non è più un insieme di suggestioni affidate alla fantasia del lettore ma un’opera visiva nella sua completezza, un surrogato della vita reale imposto ai nostri sensi; d’altro canto, a nessuno è mai venuto in mente di giudicare l’attinenza o meno al teso di “Lanterne rosse” o di “Addio mia concubina”, perché nessuno probabilmente aveva letto i romanzi! Comunque, L’odore del sangue intrattiene lo spettatore con la sua algida eleganza, col suo rigore, con l’analisi spietata dei sentimenti, delle convenzioni sociali intorno al rapporto di coppia, delle dinamiche sessuali, della fatica di vivere mestieri impegnativi come quello del corrispondente di guerra, della bizzarra noia del mondo borghese… La fotografia di Jacopo Quadri è meno incisiva di quella di Luca Bigazzi, la voce e l’intonazione di Fanny Ardant un po’ troppo da linea erotica, lo svolgimento della storia non troppo coinvolgente ma il film è nel complesso un buon prodotto, che riesce a farci sperare nel consolidarsi di una nuova tendenza nel cinema italiano, la tendenza ad analizzare in maniera spietata non solo la società moderna ma anche i moderni individui, con le loro nevrosi vere o presunte; una tendenza che ci piace riconoscere in due grandi del cinema italiano contemporaneo: Matteo Garrone e Mario Martone.
Articolo del
13/04/2004 -
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