È da salutare con grande gioia il ritorno nelle sale cinematografiche di Franco Maresco. Lo spirito intransigente e lirico, caustico e grottesco, spietato e amorevole della coppia, con Daniele Ciprì, che diede vita a Cinico TV e a una manciata di capolavori di poesia cinematografica italiana, troppo spesso dimenticati (Lo zio di Brooklyn, Totò che visse due volte, Il ritorno di Cagliostro).
In questo piccolo, e sofferto, film “a tema” c'è tutto lo spirito del solitario, non riconciliato Franco Maresco. “Il tema” è dato dagli oscuri e inscalfibili legami tra la Sicilia e Silvio Berlusconi. Si risale agli anni Settanta-Ottanta del “principe di Villagrazia” Stefano Bontate, dello stalliere Mangano e del farsi di Milano 2 e della TV commerciale, per arrivare ai cantanti neomelodici degli anni dieci del Duemila, che nelle feste popolari palermitane intonano “Vorrei conoscere Berlusconi”. Franco Maresco ha la capacità di presentare una intransigente e coinvolgente panoramica della recente storia italica e globale attraverso il filtro del suo attaccamento alla terra siciliana, e palermitana in particolare. Solo per questa capacità narrativa e affabulatoria il film andrebbe proiettato in tutte le aule scolastiche e universitarie di questo Paese. Perché vale molto di più di una qualsiasi lezione di storia sociale d'Italia.
Ma il merito principale di Maresco è quello di non aver fatto un tedioso documentario o una saccente opera di denuncia, o inchiesta militante. È un vero e proprio film che unisce diversi registri narrativi. A cominciare dalla presenza del geniale Tatti Sanguineti, sceso a Palermo per rintracciare un Franco Maresco scomparso nel pieno della lavorazione di Belluscone: siamo dentro al film nel film. Così l'appassionato Sanguineti si trasforma in una sorta di scanzonato detective cinefilo, alla ricerca del suo fraterno regista, probabile vittima della «fissa talebana, del cinema duro e puro», immaginandolo disperso nella sua cupa solitudine creativa, ostacolata dal precipitare degli eventi. E, come dice lo stesso detective Sanguineti, con il rischio di rimanere marxianamente ostaggio di quell'odiato e amato sottoproletariato siciliano, che costituisce invece la cifra poetica di Maresco.
Ed ecco un susseguirsi di vere e proprie maschere siciliane e italiane. Dal logorroico, esaltato e onnisciente, consulente cinematografico, all'alter ego di Franco Maresco: l'impresario musicale Francesco Mira, per tutti Ciccio, inarrivabile figura che ci ricongiunge al lato più incantato e quasi “fiabesco” di Cinico TV. Non a caso tutte le sequenze nelle quali compare Ciccio Mira sono virate in bianco e nero: lo stesso degli indimenticabili Rocco Cane, Pietro Giordano e Giuseppe Paviglianiti, il compianto Buddha di Palermo, imperituri protagonisti dell'epica di Ciprì & Maresco.
E poi nel corso del film incrociamo altri personaggi indimenticabili, a partire dal reporter indipendente Pino Maniaci, grande narratore delle vicende di Villagrazia, poi i neomelodici Vittorio ed Erik con il loro strabordante pubblico, quindi un duo di improbabili comici travestiti da Silvio e Veronica. Ed ecco un Marcello Dell'Utri il cui unico rimpianto è quello di vederlo sacrificato a poche battute, con il (reale? possibile?) disguido della rottura del microfono proprio mentre sembra aprirsi a improbabili confessioni intorno a Belluscone e alla morte di Enrico Mattei. Mentre si è felicissimi nel vedere che il circo Barnum dell'informazione pro e anti-berlusconiana viene relegata sullo sfondo: letteralmente messa a tacere, poiché per vent'anni ci ha ammorbato i timpani e gli occhi. E perché Franco Maresco vuole incontrare personalmente quell'umanità che di Belluscone rappresenta il brodo di coltura, ancor prima del prodotto. Questi nuovi, vecchi, mostri che siamo diventati o forse siamo sempre stati.
E in questa prova autoriale di sapiente scandaglio del lato al contempo cangiante, iridescente e oscuro del nostro essere umani, troppo (dis-)umani, i “piccoli eventi” delle feste rionali palermitane dialogano con le grandi trasformazioni della società dello spettacolo del capitalismo contemporaneo. Ma su tutto e sopra a tutto quello sguardo irriducibile, imbronciato e poetico, al contempo potentissimo eppure quasi timido, che ci restituisce un racconto formidabile di quello che siamo. Con l'amara consapevolezza che si è già postumi a Berlusconi, senza finire di essere berlusconiani.
In conclusione si potrebbe gridare al piccolo capolavoro di questo film. Convinti che se fosse debitamente supportato incontrerebbe anche il grande pubblico. Anche quel pubblico cafonal, le cui interviste accompagnano i titoli di coda, e che diventa l'unico, piccolo, neo della pellicola. Ma, appunto, è dopo la fine di un'opera di straordinaria bellezza, commovente e inquietante, quanto caustica e coinvolgente. Lunga vita a Franco Maresco. E che sia messo nelle condizioni di tornare a fare TV, cinica o incantata che sia. Intanto andiamo tutti a vederlo al cinema in questi giorni.
Articolo del
07/09/2014 -
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