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Ladykillers – in gara all’ultimo festival di Cannes - prosegue la rivisitazione dei generi cinematografici da parte dei poliedrici fratelli Coen. Dopo la rilettura delle “screwball comedy” degli anni ’35/’45, incentrate sull’eterna guerra tra i sessi con Intolerable Cruelty (titolo italiano Prima ti sposo poi ti rovino) è la volta del remake di un classico britannico La signora omicidi (1955), una delle black-comedy prodotte negli anni ’50 dai leggendari studi britannici della Ealing (la “factory” londinese che produsse fra gli anni ’40/’60 un forte numero di opere, oggi oggetto di riconsiderazione critica). Cinquant’anni dopo, la nuova opera dei Coen (la prima di cui sottoscrivono la regia a quattro mani!) dalla caustica Londra in bianco/nero di Alexander Mackendrick – regista dell’opera a cui si ispirano -, trasferiscono la storia nel “deep South” degli States, in un Mississipi immobile, sornione e sudista. Il gusto acid e corrosivo della commedia Ealing viene qui un po’ edulcorato dai fratelli del Minneapolis, con un Tom Hanks - più lusingatore che sinistro - nella parte che fu di Alec Guinness. Hanks interpreta un tipico personaggio dei Coen, sopra le righe nella parte dell’arcadico e pavoneggiante Professor Dorr, falso universitario, falso musicista e autentico criminale, che parla una lingua classica, ampollosa e accademica in perfetto stile del XIII secolo. Più che sugli sviluppi narrativi della storia, i Coen si concentrano sulla caratterizzazione dei personaggi (figura stilistica ricorrente nei due fratelli è il primo piano degli attori utilizzato magistralmente in funzione espressiva), il Prof è il capo di una scalcinata banda di malviventi, esperti solo di confusione, composta da un ex generale vietnamita (Tzi Ma), un giocatore di football rintronato e cerebroleso (Ryan Hurst), un’esperto di esplosivi (J.K. Simmons) e un’impiegato del casinò (Marlon Wayans) ma è anche l’affituario di Mrs Munson (la bravissima Irma P. Hall, la cui interpretazione gli è valsa il premio speciale della giuria di Cannes) iraconda e filosofica matrona nera, che sostituisce la vecchina con il pappagallo dell’originale di Mackendrick, “l’amico dell’uomo” è sostituito invece dal gatto rosso, che con interesse è il personaggio “voyeur”, guarda la storia e ne stabilisce il finale… tutto a sorpresa! I personaggi sono il risultato della parodia dei “soliti ignoti”, alle prese con il piano più sceneggiato nella storia del cinema: la banda del buco. I ladri devono scavare un tunnel dalla casa della vedova afroamericana affittacamere fino ai locali della nave-casinò a scopo rapina. Non è un capolavoro, ma si ride di gusto, appare evidente che si tratta di un lavoro su stretta commissione - i Coen hanno infatti artigli meno affilati del solito – e ha poco da spartire con i migliori film dei terribili autori, realizzati in relativa libertà. Il risultato è comunque una commedia in perfetto stile coeniano dove il tocco d’autore si incastra a meraviglia in una trama di genere già sperimentata. Le marche di enunciazione caratteristiche dei Coen sono spogliate di qualsiasi operazione che non sia strettamente legata a esigenze diegetiche o descrittive, nessuna valenza simbolica, nessun sottotesto si dirama dalla linea della diegesi. Il film altro non è che un’operazione finto-nostalgica, seppur d’autore. Ladykillers fa l’occhiolino e ironizza con le trame delle “crime stories”, come l’intenzione del film a cui è ispirato. Un rapporto/scontro inevitabile di culture, linguaggi e musiche, seppur di superficie. I fratelli scherzano, con le regole e i cliché del passato: robuste dosi di commedia nera (per esempio la gag beffarda, paradosso finale: l’inerme vecchietta è invincibile dal male, mentre ai ladri ne succedono di tutti i colori, dopo infinite trovate divertenti si decimeranno a vicenda!), oppure si divertono con i stili letterari citando esplicitamente e sapientemente le pagine scritte di Edgar Allan Poe e le sue atmosfere gotiche. E poi si trastullano respirando un’aria sudista: religiosità pittoresca ovunque che si integra perfettamente con la colonna sonora, rigorosamente nera, gospel, hip-hop e musica folk americana in generale che completano l’oleografia Southern, tanto amata dai due mitici autori. L’immagine è occasione di manierismo autoriale, a volte il “duo” sembra compiacersi del loro talento di metteur en scène (partecipe la fotografia splendida di un sapiente Roger Deakins al suo 8° sodalizio con la coppia, inseparabile anche di Martin Scorsese), bellissima la scena iniziale dove si osserva il Mississipi dal ponte, da tutte l’angolature possibili, un elogio dei diversi punti di vista, la possibilità di offrire al pubblico di scegliere un punto visivo alternativo dall’istanza narrante. Nel dialogare con il passato, i Coen lo ripropongono in modo ironico creando così un incontro/scontro tra linguaggi odierni e tradizione. Solo un raffinato esercizio di stile, pensano in molti…Comunque sfido chiunque a fare di meglio!
Articolo del
06/07/2004 -
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