Essere in coppia significa, più di ogni altra cosa… non doversi spalmare una pomata sulla schiena da soli.
Un futuro sinistramente a noi vicino, un’Inghilterra in incognito, una legislazione che proibisce severamente il celibato, il nubilato, e la vedovanza. Chi circola da solo rischia grosso: la punizione mediante trasformazione in un animale (!). Ma niente paura: esistono degli hotel specializzati in cui soggiornare per trovare (in quarantacinque giorni) l’anima gemella. “Gemella” nel vero senso della parola, dato che i gusti o i difetti del/la compagno/a dovranno essere identici a quelli del partner, perché «è meglio non complicare le cose.» La (presunta) speranza risiede nei Solitari, i single per scelta, pericolosi anarchici che mirano alla libertà dal giogo del matrimonio, con regole che rendono la cura peggiore del male…
Il regista greco Yorgos Lanthimos esordisce nel cinema anglofono con un film a dir poco folgorante, sia nell’apparato visivo che nella scrittura, e che raggiunge punte di feroce cattiveria, ammantandole con il sorriso obliquo del surreale. Profonda è la riflessione sui rapporti tra i sessi e sui lati oscuri del matrimonio, tuttavia percepiti dallo spettatore attraverso il ghigno sardonico e inquietante di una narrazione grottesca.
Uno dei perni sui quali sembra ruotare la storia sembra essere quello dell’asse Menzogna/Verità, sommo creatore/distruttore delle relazioni e della società in generale. Dai clienti dell’hotel che per disperazione simulano di avere tratti in comune con i potenziali partner (quanto realismo nella surrealtà!), ai Solitari, che fanno incursioni psico-terroristiche nell’hotel dei cercatori di compagnia, mettendo a nudo le menzogne della vita di coppie apparentemente affiatate.
L’ambientazione e la fotografia, volutamente plumbee, con ingannevoli sprazzi di colore (come la Vita?), unitamente a stralci di una nervosa e dissonante colonna sonora (la musica da camera di Alfred Schnittke), ci danno il senso di una società squallida e distorta, dove entrambe le fazioni in lotta sembrano essere nel torto, e non c’è modo di uscirne interi. Un magnifico cast britannico/europeo, capitanato dal protagonista Colin Farrell, vedovo sovrappeso che cerca di barcamenarsi tra due bandiere, dalla tenera miope Rachel Weisz, e soprattutto dall’imminente Bond-girl Léa Seydoux, insospettabile e sinistra leader dei Solitari.
Tra risate sghembe e molti brividi, The Lobster, un po’ come molte altre opere distopiche, lascia un’espressione pensierosa sul volto degli spettatori: a quanti passi siamo dal diventare noi stessi una delle realtà da futuro alternativo che vediamo sugli schermi?
Articolo del
29/10/2015 -
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