Ventiquattresimo Bond ufficiale, quarto del reboot con Daniel Craig, secondo del regista Sam Mendes, già Gran Cerimoniere dei festeggiamenti del cinquantenario di tre anni fa. Chi ha visto gli episodi precedenti (cosa imprescindibile) si renderà conto che la narrazione cinematografica della spia inglese è divenuta sempre più coerente e interconnessa: anche qui la serialità televisiva docet. Inoltre, come ci siamo resi ormai conto, nel mondo bondiano ha fatto ingresso l’approfondimento psicologico dell’eroe, e non solo… ma a parte questa maggiore impronta realistica, (che lo pone agli antipodi dell’innocuo e bonario periodo del fascinoso Roger Moore ad esempio), le rassicuranti, reiterate formule del buon James restano quelle, come leggersi un Tex o un Diabolik.
E’ inutile spendere parole sulla trama, per non spoilerare lo spettatore ignaro, mentre il bondiano doc avrà già capito quasi tutto dal titolo. Diremo solo che come Quantum of Solace si saldava al precedente Casino Royale, continuandone i fili narrativi, Spectre si accoda all’ultimo Skyfall nell’esplorazione dell’oscura infanzia di Bond (argomento tabù in cinquanta anni di saga), facendo emergere una minacciosa figura manipolatrice dalle ombre del passato.
Riflettendo proprio sulla scia del precedente film-anniversario dunque, non è decisamente un caso che l’arch-villain di turno torturi Bond minacciando di cancellargli la memoria (!). In un vortice metafilmico, anche noi spettatori veniamo minacciati da quella tortura: cosa sarebbe 007 (e cosa saremmo noi) senza il suo mezzo secolo di storia alle spalle? Non possiamo prescindere, nonostante il magnifico ciclo moderno e autonomo di Craig, dall’affidarci al ricordo di un’immane serie di pellicole piene di personaggi e situazioni “intercambiabili”, come il cattivo di Spectre fa malignamente notare all’eroe (e a noi) siano altrettanto intercambiabili le sue donne usa-e-getta.
Ma la donna di questo episodio non è una qualsiasi: si chiama Madeleine Swann, un nome e un cognome che più proustiani non si può, e come il soffice pasticcino francese che, morso, scatena i ricordi, anche lei “assaggiata” da Bond, scatena un filo narrativo che guarda al suo passato, e noi guardiamo con lui. E l’eroe, che si nutre del suo stesso mito, non potrà che allontanarsi nella notte londinese mano nella mano (!) con la ragazza che gli ricorda il suo Sé.
Sviluppi psicologici che non devono spaventare più di tanto: Sam Mendes, in barba a Marcel Proust, firma il più costoso film della saga di sempre, farcito di citazioni, carnevali, energumeni, persiani bianchi, elicotteri, funivie, e persino qualche occasionale buffo guizzo di smorfie umoristiche alla Moore. Dal punto di vista del calibro cinematografico e dell’apprezzabilità interna della saga, quello di Craig è il ciclo bondiano finora meno altalenante mai visto, avendo saputo mantenere una qualità complessiva più che buona. Altri in passato fecero passi falsi, che spesso l’effetto nostalgia tende a far dimenticare. Finisse ora (Dio non voglia) l’epoca Craig avrebbe un meritato posto nella Storia.
Articolo del
19/11/2015 -
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