2016: l’anno in cui morirono migliaia di meme internettiani sul tapino Leonardo DiCaprio e il suo disperato anelare alla statuetta dorata. E voi, ex ragazzine del Titanic, con i poster del biondino appesi nelle vostre camerette, che anni fa esposero il cartello “Leo or bust”, ora siete soddisfatte… proprio ora che magari quei poster li avete buttati, per fare posto alla culla di vostro figlio, è giunto per voi l’agognato e meritato omino d’oro. Il colossale art film sulla crudele epopea della Frontiera americana, Revenant di Alejandro G. Iñárritu, ha fornito all’attore il necessario calvario di lacrime e sangue da sempre necessario per accaparrarsi il favore dei decani... a più di vent’anni dalla prima candidatura.
Altro caposaldo del 2016: Ennio Morricone vince per la sua tesa e ossessiva sinfonia scritta per il giallo/western The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Già unico compositore (insieme ad Alex North) ad avere ricevuto un Oscar alla carriera, il venerando maestro in realtà non è mai andato in pensione, e dopo anni di pezzi “rubati” da Tarantino per ornare i propri film, ora la collaborazione tra i due diviene realmente inedita e reale. Detto fatto: è statuetta, Quentin e il mondo intero al settimo cielo.
Nonostante Revenant fosse indubbiamente il più meritevole film dell’anno, dal punto di vista meramente cinematografico (insieme a Mad Max: Fury Road, che commenterò fra breve), è Il caso Spotlight di Tom McCarthy a vincere miglior film e sceneggiatura, una mossa dettata dall’attualità e dalla politica. Il solito tentativo illusorio di poter dare, tramite una premiazione ben mirata, la giusta sottolineatura all’odioso fenomeno della pedofilia nella Chiesa cattolica americana (e non solo). In realtà la Storia ha dimostrato come, nella gran parte dei casi, il premio come miglior film raramente giova alla longevità di memoria di una pellicola… e davvero pochi dei film premiati in tal modo sono stati inseriti negli annali della Storia del Cinema. Ad ulteriore conferma di questa riflessione, è ancora Iñárritu ad agguantare la statuetta di miglior regia, seconda di fila del messicano, dopo lo scorso Birdman. Una grande stagione per la cinematografia latina…
Le giovani attrici illuminano il palco con i loro volti freschi: Brie Larson, protagonista del claustrofobico e tenero Room, e il fiore svedese Alicia Vikander per il lacrimevole The Danish Girl. La Larson viene dal cinema indipendente, e si era fatta notare anni fa nella deliziosa e negletta serie tv firmata Diablo Cody, United States of Tara. La lanciatissima Vikander, forse una delle sorprese più gradite della serata, avrebbe dovuto essere candidata (e vincere) per la fantascienza filosofica di Ex Machina (a riprova del fatto che vincono spesso gli attori giusti per i film sbagliati) ma ce ne faremo una ragione. Il pacato veterano dei palcoscenici british Mark Rylance, vince per il suo stoico sovietico de Il ponte delle spie.
Il film vincitore non è sempre quello che racimola più statuette: quest’anno Mad Max: Fury Road di George Miller se ne aggiudica sei (!) nelle categorie tecniche/creative. Sì, proprio quel Miller che secoli fa firmò la trilogia distopica australiana che lo rese famoso… Ora è tornato, donandoci una gratuita lezione di Cinema adrenalinico da brividi, e nello stesso tempo inserendo personaggi femminili profondi e convincenti quali non si vedevano da anni in film di tal genere. E se da un lato è miracoloso che l’Academy degni di attenzione una pellicola così (apparentemente) pop, dall’altro però i premi tecnici sono, al solito, l’unico riconoscimento sul quale un’opera così si possa sperare.
Dunque tra nuovi (Iñárritu, DiCaprio) e vecchi maestri (Miller, Morricone), quest’annata di Oscar è stata generalmente densa di buon Cinema, non sempre cinema dello Zio Sam (Messico e Australia, gioite), e una bella zampata di tragedie contemporanee ad agguantare la statuetta più ambita. Tutti magnanimamente soddisfatti? I premi, si sa, sono sempre più esclusivi che inclusivi, (vero, Carol?)… L’importante è buttarci sempre dentro qualcosa di buono, e memorabile.
Articolo del
02/03/2016 -
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