Poco tempo fa, in una galassia vicina vicina… Pensandoci bene, non sono mai stati tributati i giusti onori a tutta una ricca serie di personaggi residenti dell’universo lucasiano: sempre Skywalker, Skywalker, Skywalker… E’ giunto il momento, si saranno detti alla Disney, neo-mamma del cosmo più commercialmente appetitoso, di espandere la saga oltre la linea parentale di Anakin e Luke…
E se gli eroi in questione non fossero baciati in fronte dalla Forza, ma fossero invece un manipolo di Expendables dell’Alleanza Ribelle, destinati in partenza ad essere sconfitti perché “una nuova speranza” (quella del classico Episodio IV) potesse sorgere contro il bieco Impero? Niente biondini dal Fato glorioso, ma un gruppo di spie, ex monaci sbandati, droidi cattivi riprogrammati, e una figlia alla ricerca di un ambiguo Robert Oppenheimer imperiale.
Diciamolo subito: progetto accattivante, quello di accantonare per un attimo l’epos e mostrare Star Wars con la lente sporca e scheggiata di un Salvate il soldato Ryan. Questo Rogue One: A Star Wars Story ci avrebbe mostrato la galassia dal livello della strada, più che dalle grandi astronavi… Tuttavia, nonostante i grandi squilli di tromba, la tempesta è rimasta in un bicchier d’acqua. Chris Weitz e Tony Gilroy creano un copione poco trascinante (un vero e proprio Camminatore imperiale, lento e goffo), con personaggi che restano più che altro sulla carta: così questi poveri eroi, che si sono sacrificati per la causa prima ancora che Luke mettesse il naso fuori dalla sua fattoria, sono stati ammazzati due volte, a colpi di blaster prima, e di penna poi.
Il regista britannico Gareth Edwards, già autore di un buon Godzilla, sa certo il fatto suo, sa fornire un tono particolarmente grigio, militaresco, alla pellicola, rispetto ai film di solito così sfavillanti della saga. Ma tutto il fascino visivo, non supportato da altrettanta empatia per i suoi personaggi resta lettera morta. Se vogliamo, l’esatto contrario di quello che era riuscito ad ottenere con Godzilla, dove la presenza di colossali creature distruttrici non era riuscita ad allontanare l’obiettivo dai piccoli personaggi umani e le loro vicende.
E’ paradigmatico (e paradossale), ad ulteriore conferma di ciò, che il personaggio più accattivante del film sia un droide ribelle (o meglio, un ex droide imperiale riprogrammato), ligio alla causa con una spruzzata di impertinenza quanto basta. O le comparsate brevi ma incisive del Grand Moff Tarkin (un Peter Cushing risuscitato digitalmente in maniera incerta ma audace) e dell’immancabile Darth Vader, che suggellano il legame temporale con l’Episodio IV. Tutti attori “inumani”, immateriali, che sanno però dare più emozioni allo spettatore fan, di tanti potenziali eroi sottosfruttati.
Ma se dovessimo cercare il vero e proprio vincitore morale e materiale di questa naufraga scheggia impazzita di nostalgia lucasiana sarebbe semplice: Michael Giacchino. Compositore premio Oscar, compagno di merende di J. J. Abrams, additato da molti come il figlio artistico di John Williams (l’autore originale delle musiche), Giacchino finalmente ottiene il lavoro di una vita, firmare una colonna sonora della sua/nostra saga preferita… e non delude né il Maestro né i suoi fans, che lo aspettavano con le spade laser accese. Se il dopo-Lucas può aver lasciato sgomenti alcuni, sul dopo-Williams almeno siamo coperti.
VOTO: 3 / 5
Articolo del
23/12/2016 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|