Kevin vive a Philadelphia ed è in buona compagnia: soffrendo di disturbo della personalità multipla in lui convivono faticosamente ben 23 identità distinte. Nonostante i progressi raggiunti grazie alla terapia con la Dott.ssa Fletcher, l’equilibrio apparentemente raggiunto dal giovane sta per crollare. Qualcosa di nuovo bussa alla porta della già affollatissima mente del ragazzo, la gerarchia stabilitasi tra le varie personalità viene sovvertita. Alcune di esse si alleano per compiere un macabro rito speciale. Il sacrificio imposto però sono tre giovani ragazze che vengono sequestrate e imprigionate come vittime designate.
Ci sono alcuni registi che sono una certezza sempre e comunque. M. Night Shyamalan purtroppo non è uno di questi. La sua carriera è una montagna russa tra successi, flop clamorosi, film indefinibili e altri indifendibili. Il tutto farcito da suoi camei, ma anche da dichiarazioni alla stampa e al pubblico a dir poco imbarazzanti. Al filmmaker non manca di certo lo zelo, anzi ha avuto in passato la tendenza a strafare. Dopo qualche anno di recidiva M. si è però ravveduto e con una produzione piccola piccola insieme a James Blum è ritornato al thriller nel 2015 con il brillante ed inusuale The Visit Il ghiaccio si è rotto e il flusso ha ripreso a scorrere nella direzione più giusta e ottimale. A distanza di un anno arriva Split, stessa produzione e stesso genere. Il tema affrontato è, come già accennato quello del disturbo della personalità multipla, qui raffigurato come qualcosa ancora da svelare, un fenomeno che verrebbe definito malattia mentale solo per mera incapacità e incomprensione ma che, secondo le teorie della specialista a cui Kevin si rivolge, sarebbe una qualità aggiunta, uno step evolutivo e non una condizione negativa. La fantasiosa tesi che la signora Fletcher cerca di dimostrare, attraverso i suoi studi su Kevin, é atta infatti a dimostrare che ogni personalità possa essere indipendente e in grado di sviluppare singole capacità e attributi fisici. Il soggetto su cui si basa Split è degno di nota ed incuriosisce al primo assaggio. Il film non supera i precedenti capolavori più blasonati di M. Night Shyamalan, ma gli fornisce un’ulteriore tessera per comporre il biglietto da visita per un ritorno qualitativamente soddisfacente per un vasto pubblico, fan e detrattori inclusi. L’atmosfera è tesa, claustrofobica, c’è la giusta tensione che ogni tanto però subisce disarmanti cali. Eccellente l’uso dei flashback, di grande effetto come il montaggio. Il vero perno del film resta però la grandissima e titanica prova d’attore di James McAvoy, che riesce a tenere in piedi ed insieme personaggi diversi, tutti credibili, tutti estremamente caratterizzati, con un risultato sbalorditivo. A fianco a lui c’è una controparte, la bravissima Anya Taylor-Joy (precedentemente vista nel notevole The Witch), perché in fondo quella portata in scena in questa pellicola è anche la storia dell’incontro di due traumi, di due violenze subite e accusate ma metabolizzate in modo completamente diverso. Tutti vogliamo sopravvivere, ma la pletora delle vie della disperazione porta ognuno ad una destinazione diversa e imprevedibile.
Articolo del
17/02/2017 -
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