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La cinematografia, coreana tra le più cruente d’oriente, comincia ad uscire dai suoi confini, come dimostra la sempre più numerosa presenza dei loro film nei festival internazionali. Questo interessante dramma “neorealista” presente in concorso all’ultimo festival di Venezia (2003) ne è un esempio illuminante. Qualcuno pensava di averlo perso non avendolo visto a Venezia, invece voilà - per fortuna – fa capolino in questa fine stagione estiva in qualche sala romana. La moglie dell’avvocato - Baram-Nam Gajok - A good Lawyer’s wife - è il terzo film del quarantunenne di Seul, laureato in sociologia: IM Sangsoo. Dopo aver esordito con una commedia tutta al femminile (Girl’s Night Out) e aver presentato a Berlino un bel dramma metropolitano low budget (Tears) ritorna sugli schermi con questa nuova pellicola materica, dove il corpo filmato senza morbosità e cerebralismi (cosa assai rara in questi ultimi tempi se si pensa al nostrano Martone di L’odore del sangue o al mostruoso Pornocrazia di Catherine Breillat o ancora al deludente Dumont di 29 Palms) è il protagonista principale, il materiale su cui lavora il film. Il sesso come in tutti i suoi due precedenti lavori dell’autore coreano ricopre un ruolo importante, ma non è il tema dominante. E’ l’agente principale dei continui cambiamenti del corpo, ma non è l’unico. Ecco allora la malattia del padre dell’avvocato, messa in scena in un corpo malato che cambia, ripreso in tutta la sua bruttura con estremo e crudo realismo, oppure il corpo non più giovane, buffo e grassoccio che non vuole arrendersi alla vecchiaia, nella sequenza pre-amplesso tra la madre dell’avvocato e il suo non più giovane amante. E ancora Im ha cercato di mettere in luce l’aspetto problematico del corpo/sesso dell’adolescente, il diciassettenne vicino di casa, amante di lei. Insomma un film sulla ricerca dell’armonia (molte scene sono girate in una palestra di danza, luogo deputato dell’armonia per antonomasia, e inoltre è la danza l’unica ancora di salvezza della protagonista femminile) attraverso una conoscenza/impressione del proprio corpo, e come questo cambi a secondo delle intrusioni esterne. Il regista mette in immagine una sessualità lontana da sgradevoli morbosità adolescenziali e irritanti ipocrisie pseudointellettualistiche di cui il cinema degli ultimi tempi ci aveva – ahiahiahi… - rassegnati. Lontano da bieghi sensazionalismi, Im ci regala raffinate sequenze sulle diverse fasi dell’accoppiamento, congiungimenti che solo gli orientali sanno mostrare: materia e anima le due facce della stessa medaglia. Attraverso un percorso inverso – la manifestazione della fisicità dei personaggi - riesce a scandagliare l’interiorità nella profondità più remota: l’inconscio. Nel fare questo i personaggi sembrano muoversi nel caos della vita, l’autore infatti non ci spiega mai i motivi che hanno dato origine alle loro azioni, senza compromettere l’organicità dell’opera, lavora sulla sua superficie. I due sono una giovane coppia di trentenni borghesi, la generazione che sembra beneficiare di una nuova ventata di democrazia e di femminismo nella società coreana contemporanea, ma il problema è che non riescono davvero a mettere in pratica questi cambiamenti. La famigliola si rivela ben presto un covo di egoismi, falsità, ipocrisia e scappatoie, meccanismi occidentali - e ora anche orientali? - troppo veri per non riconoscerli e non farci male. E il film fa male, molto male… Per enfatizzare il turbine della vita – l’instabilità e la precarietà - usa la macchina a mano, perfetta combinazione di tecnica ed estetica cinematografica, uno stile rivolto continuamente alla sperimentazione visiva. La splendida fotografia e un montaggio sincopato sono ulteriori componenti che esaltano ancora di più questa meravigliosa regia. Un film speciale che ci racconta i segreti dell’anima umana con i corpi dei bravissimi interpreti, la vita nella sua quotidianità: la malattia, il dolore, il sesso e il desiderio. Cosa dire poi dell’attrice protagonista (Hojung), Moon Sori, che aveva impressionato due anni fa la platea veneziana, con l’intensa interpretazione di una donna spastica in Oasis (premio miglior esordiente) è qui in un ruolo completamente diverso - la moglie dolce e frustrata dell’avvocato - ma fronteggiato col medesimo tono: no comment...
Articolo del
02/09/2004 -
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