Annunciato, rinviato, atteso, protagonista di una campagna marketing senza precedenti per un film horror, ecco finalmente arrivare, per la prima volta sul grande schermo, IT tratto dal romanzo di culto di Stephen King.
L’abbandono a pochi mesi dalle riprese del regista di True Detective Cary Fukunaga (accreditato come sceneggiatore), sostituito in corsa dall’argentino Andy Muschietti (regista del non proprio memorabile La Madre), ha fatto presagire il peggio. Con queste dinamiche produttive il disastro è sempre dietro l’angolo.
Invece c’è una buona notizia per tutti: IT non è un brutto film. Muschietti sì è incastrato perfettamente nel meccanismo dirigendo una pellicola godibile con mano svelta, narrata in maniera chiara risultando fruibile a tutti (come dimostrano i mostruosi incassi mondiali), anche a chi di solito l’horror proprio non lo digerisce.
Ma, purtroppo, IT non è nemmeno un ottimo film. Questo approccio in linea con gli stilemi produttivi odierni tipici del cinema blockbuster annulla ogni guizzo o punto di vista registico, rischiando di far cadere il film, nonostante una bella fotografia del coreano Chung-hoon Chung (uomo di fiducia del regista di culto Park Chan Wook), nell’anonimato visivo rendendolo più simile ad una puntata televisiva ben fatta rispetto ad un film destinato al grande schermo. Non aiutano a costruire il tanto annunciato e atteso terrore (ad eccezione di un paio di scene, il film è veramente poco spaventoso) dei brutti effetti cgi, un uso ricorrente e pigro dei jump scares ed una dimenticabile colonna sonora.
Ma fortunatamente Muschietti gioca le sue carte migliori è nel bello e delicato racconto del club dei perdenti, grazie soprattutto ad un cast azzeccato (in cui brillano soprattutto Finn Stranger Things Wolfhard nei panni di Richie e la Beverly di Sophia Lillis, una giovane Amy Adams di cui sicuramente sentiremo ancora parlare). È nelle loro interazioni, nelle loro prime pulsioni adolescenziali e nel loro affiatamento che il film riesce a trovare il suo cuore.
Ma l’attrazione più attesa è, ovviamente, la forma antropomorfa di IT, cioè il clown Pennywise elevato a icona horror dalla magnifica interpretazione di Tim Curry nella miniserie del 1992 e qui interpretato da Bill Skarsgård. Una delle chiavi del successo dell’interpretazione di Curry (ed il motivo per cui ha traumatizzato una generazione) era la sua apparente tranquillità e normalità pronte a trasformarsi in qualcosa di mostruoso, ma Skarsgård e Muschietti hanno deciso di optare per l’approccio opposto. Questo Pennywise è un tripudio di smorfie malvagie, tic e contorcimenti mostruosi che, paradossalmente, lo rendono poco pauroso e minaccioso e non lo aiuteranno a prendere il posto del clown di Tim Curry nei nostri incubi.
In definitiva questo primo capitolo di IT è un film godibile e con molti pregi anche se, conoscendo l’immensità del materiale di origine e le grandi potenzialità cinematografiche presenti, lascia un po’ di amaro in bocca ma anche la speranza che col secondo film in uscita nel 2019 Muschietti riesca a sfruttare queste potenzialità appieno.
VOTO 2,5/5
Articolo del
03/11/2017 -
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