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Dopo la magnificenza degli esordi, le opere seconde simboleggiano per i giovani autori la prova del nove perché spesso succede che nell’opera prima si è già detto tutto. Non è questo il caso di Sorrentino – napoletano, classe ’70 – che con Le conseguenze dell’amore ha sostenuto l’esame, con un esito segnato da maturità e da crescita su tutta la linea. Infatti la sua pellicola, è l’unica tra quelle italiane a essere presente in concorso al festival di Cannes 2004. Le conseguenze dell’amore, sua seconda fatica, è la conferma del talento di un autore che già si era fatto notare a Venezia 2001, nella sezione Cinema del Presente con L’uomo in più (la storia di due uomini, un cantante e un calciatore, che possedevano lo stesso nome e una vita tanto fortunata quanto travagliata). L’autore partenopeo è regista e sceneggiatore (anche di Martone, Capuano solo per citarne qualcuno) di personaggi e vite/destini incrociati (per esempio in L’uomo in più le vite del cantante e del calciatore si sfiorano: la resa dell’uno finisce per essere il riscatto dell’altro). Al centro del plot Titta di Girolamo, ex commercialista italiano, cassiere della mafia, confinato per punizione – la mala in passato suo cliente, non gli ha perdonato un suo errore - in un albergo svizzero del Canton Ticino. Vivo, quindi, ma costretto da otto anni a fare niente, a replicare la stessa alienata operazione: aspettare l’arrivo di una valigia contenente denaro ‘sporco’, per poi contarlo e portarlo in un deposito bancario. Da anni conduce un’esistenza solitaria e in solitudine, fatta di automatici, metodici e ordinati gesti ripetitivi e segnati da una cronica mancanza di immaginazione; anche i vizi sono sempre gli stessi (le molteplici sigarette fumate nella hall dell’albergo, l’eroina utilizzata regolarmente sempre lo stesso e unico giorno del mese e sempre alla stessa ora), perfino le notti insonni sono tutte sistematicamente uguali, trascorse a vivere vite altrui nell’ascoltare la coppia di coniugi miliardari (Raffaele Pisu nei panni del miliardario baro), caduti in disgrazia insomma “una vita rubata”, come dirà alla fine Titta stesso ai capi mafia. A che pericolo può andare incontro un uomo di questo piglio quando incontra l’amore? L’amore è un sentimento che giunge inaspettato e può sconvolgere l’esistenza, e Titta questo lo sa, tanto da appuntarsi su un notes le conseguenze dell’amore… e quando finalmente ha il coraggio di rivolgere la parola a Sofia (la barista scrutata e spiata, pur non avendo mai in due anni Titta risposto al suo saluto) gli dirà la frase-chiave conseguenza dell’amore: “forse sedermi a questo sgabello è la cosa più pericolosa che io abbia fatto nella mia vita”… In Le conseguenze dell’amore, un film diverso rispetto al panorama ‘small screen’ della cinematografia italiana, il cinema torna ad essere il vero protagonista; forma d’arte centrata sull’occhio (un cinema che tra l’altro sembra avere punti di riferimento comuni con il contemporaneo Matteo Garrone in Primo amore per un verso legati alla natura sperimentale del suo linguaggio cinematografico per l’altro ai contenuti che propone). Sorrentino riporta in auge il puro piacere visivo, complice anche l’eleganza della luce e della fotografia di Luca Bigazzi. Sequenze di culto, attraverso il minuzioso incastro di carrellate, primi piani, dettagli e inserti d’inquadrature claustrofobiche, interni dove non succede quasi nulla e, dove l’agorafobia fa uscire raramente all’esterno la m.d.p. dalle circoscritte e anguste stanze e hall dell’albergo. Basta abbandonarsi alle immagini e alla partitura dello script che Sorrentino stesso ha elaborato con un melodico ritmo di rallentamenti - eloquenti - pause e accelerazioni - eccellenti - perfetta narrazione costruita intorno al talento di un grande attore come Toni Servillo. Attraverso un racconto distillato, situazioni rarefatte, silenzi, allusioni… Sorrentino autore sensibile, è capace di catturare atmosfere e trasformarle in “materia” da plasmare a seconda delle esigenze del racconto. La regia acceca inventandosi una forma originalissima tra il dramma esistenziale e il noir (si tenda l’orecchio alla maniera in cui l’autore partenopeo usa il sonoro per guarnire l’immagine di ulteriori significati; per esempio il gioco di conflitti della musica extradiegetica e la voce off dell’istanza narrante - Servillo stesso). La voce off di Titta, ‘emozionale’ e spesso ironica è l’unico modo di comunicazione - se non a livello personale e spettatoriale - attraverso la non comunicazione del monologo interiore. Sorrentino disegna un cinema che è al tempo stesso di ricerca formale e di fenomenologica attenzione alle conseguenze più spiacevoli, incomprensibili, tristi, del sottobosco della società (come la mafia), senza con ciò ignorare – e in questo consiste la meraviglia del suo cinema – l’irriducibile umanità, l’amicizia, l’amore, dei suoi personaggi. Titta di Girolamo è si il cassiere della mafia, ma è soprattutto un uomo, da capire e da scoprire senza facili moralismi. E’ un cinema che nel tratteggiare la realtà, sempre ad altezza d’uomo, non dimentica il connubio tra pathos del racconto e straniamento brechtiano della messa in scena. Un film “low budget” che ha tutte le potenzialità per essere un piccolo caso cinematografico italiano… vedere per credere!.
Articolo del
08/10/2004 -
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