Fin dalle prime immagini è chiaro che anche noi spettatori, insieme a Paco (Javier Bardem che poi sapremo essere l’ex di Laura, Penelope Cruz) facciamo parte del gruppo di coloro-che-non-sanno, che non conoscono il segreto intorno al quale si svilupperà la trama di quest’ultimo film di Farhadi, Tutti lo sanno, una coproduzione franco spagnola. Nella prima scena ci ritroviamo infatti all’interno di un vecchio campanile le cui mura conservano il ricordo di un amore. E da lì, da uno squarcio nel quadrante dell’orologio, la mdp si inoltrerà per tentare di svelare ciò che per anni è stato taciuto ma che nelle piccole comunità sembra quasi il prodotto di un’auto generazione collettiva.
Laura è tornata in Spagna da Buenos Aires con i suoi due figli per partecipare al matrimonio della sorella. Durante i festeggiamenti Irene, la figlia maggiore, un’intemperante adolescente di quindici anni, viene sequestrata e da questo momento in poi nel film prende il via un thriller a tinte melò in cui verranno scoperchiati ipocrisie e falsi sentimenti.
Farhadi ancora una volta sembra ribadire che noi siamo il nostro passato e che in questo, per quanto si rimesti, non è possibile rintracciare la verità, perché ognuno ne ha una propria che rimane incomunicabile, indicibile. Se una verità esiste è quella della complessità umana e della difficoltà nell’individuare quali siano le giuste ragioni nelle scelte da fare. Come in Una separazione o ne Il passato l’inoltrarsi nell’inesauribile stratificazione dell'essere umano ingarbuglia ancora di più le cose; l’impossibilità di capire quale versione dei fatti sia quella autentica lascia spiazzati e disorientati. Quando ci si trova sull’orlo dell’abisso delle scelte, non esistono soluzioni univoche, la scelta di come agire è tutta interna agli individui.
La famiglia di Laura, in apparenza accogliente e affettuosa, nasconde dietro di sé odi, rancori, contraddizioni che man a mano emergeranno in perfetto stile latino. Certo siamo ben lontani dalle atmosfere algide e spiazzanti che vengono in mente ripensando ai quadri familiari alla Vinterberg. Ma, senza allontanarci troppo, sia geograficamente che stilisticamente, anche da quelli disegnati dallo stesso Farhadi in About Elly (Orso d’Argento come miglior film al Festival di Berlino 2009) o ne Il cliente, in cui una trama intricata serviva da stura per far emergere le contraddizioni di scelte apparentemente motivate da iniziative innocenti (il desiderio di un gruppo di amici di far incontrare due single nel primo, e la ricerca del responsabile di una violenza carnale verso la propria moglie nel secondo).
In Tutti lo sanno ad un ritmo serrato delle immagini non fa da sostegno una struttura della sceneggiatura che appare infatti meno articolata e originale rispetto ai suoi altri film. La riflessione sulla complessità dell’esistenza e sui mille dubbi che essa suscita, elemento caratterizzante dell’estetica di Farhadi, qui sembra attenuata, come se l’autore paradossalmente soffrisse dell’assenza delle maglie costrittive imposte dalla censura iraniana, che però nelle precedenti produzioni ne stimolavano la creatività e lo obbligavano a ricercare una maggiore stratificazione psicologica nei personaggi, per giustificarne le tante contraddizioni. In quest’ultima opera invece, alcuni dei personaggi -il marito di Laura, Ricardo Darìn, arrivato dall’Argentina, l’ex poliziotto in pensione- strada facendo vengono lasciati al loro destino e questo, anziché sollecitare una interrogazione sottrae materiale espressivo in grado di stimolare lo spettatore, di alimentare quadri interpretativi, cosa che invece non accadeva nell’apertura a scatole cinesi de Il passato
Articolo del
25/11/2018 -
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