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Stefano e Laura, Federico e Eleonora sono due coppie racchiuse in una sola. I primi due sono due attori, i secondi sono i protagonisti di un film in costume in cui i primi lavorano. Federico ed Eleonora sono due amanti illegittimi, lui è un nobile sposato con due figli, lei non è altro che una cortigiana che soddisfa i propri bisogni e sogni amando un ricco signore locale; Stefano interpreta Federico, Laura Eleonora. Fra i due nasce una relazione d’amore destinata, come nel film da loro interpretato, a finire: siamo di fronte ad un metafilm, in cui all’interno del film da noi visto si mette in scena un altro film, che curiosamente ha lo stesso titolo dello spettacolo che noi stiamo vedendo. Piccioni, regista dell’opera (ha diretto Luce dei miei occhi- 2001), ha affermato di non aver avuto alcuna intenzione di fare un film nel film che parlasse del mondo del cinema, ogni film però diventa altro da ciò che l’autore ne vuole fare, ed esattamente diventa ciò che il pubblico vede, percepisce. Ad opera ultimata cioè, l’opera stessa è autonoma da chi l’ha generata. E in La vita che vorrei, al di là della volontà di Piccioni, il risultato è che nel film i due piani si intersecano e si confondono, spiazzando lo spettatore ma anche divertendolo. E dandogli l’impressione che si parli, anche e non solo, del mondo del cinema. Stefano e Laura si immergono infatti nella storia trascinandone l’esito anche in quella personale: se Eleonora muore, Laura pur mettendo alla luce – per contrasto- un bambino, muore come attrice, provata dalla storia con Stefano e dalla parte da lei interpretata; Stefano la lascerà andare via da lui per seguire il personaggio che si è costruito di uomo freddo e solitario così come Federico perderà Eleonora per seguire la persona che le convenzioni sociali si aspettano che egli sia. Il film procede lento e riflessivo per tutta la pellicola. Forse anche un po’ troppo lentamente. Sopratutto nelle parti di vita “quotidiana” dei due personaggi, e in particolar modo quando la telecamera fissa la figura di Stefano: un personaggio che, nonostante il bravo Luigi Lo Cascio, forse il miglior attore italiano della sua generazione, rimane fermo alla prima scena e che non assume lo spessore che ci si aspetterebbe, la scelta probabilmente è consapevole e Piccioni la ritiene funzionale, il risultato però è l’appesantimento del film; è Laura ad essere l’elemento trascinante: avvincente e seducente, è un personaggio che scopriamo a poco a poco, così insicura eppure passionale- nella vita come nel film- così bella e fragile, subisce, su entrambi i piani narrativi, la vita per poterla assaporare, è travolta dai sentimenti per poterli mettere in scena, porta il cinema nella sua esistenza e la sua esistenza in scena, richiamando echi di correnti letterari e teatrali novecenteschi di cui lei si presenta come un esemplare e non una portavoce. Interpretata da una brava Sandra Ceccarelli – aveva già lavorato con Lo Cascio in "Luce dei miei occhi" appunto e nel bel film di Cristina Comencini "Il più bel giorno della mia vita" (2002)- è il personaggio chiave del film. Un film in cui il mondo del cinema esce divorato da se stesso, senza pudore. L’universo in cui Federico si muove e in cui Laura aspira ad entrare è fatto di apparenze, tradimenti e opportunismo. E soprattutto di distacco: Stefano non è diverso dai suoi colleghi e dalle persone che lavorano nell’ambiente; su tutti trionfano la gelosia e l’arrivismo, e chi cerca lo spiraglio per sentimenti veri, come Laura – che pure non è esime dall’opportunismo- si esautora automaticamente. Solo una forte cesura da sé può dare la certezza della sopravvivenza.
Articolo del
11/11/2004 -
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