Commuove e spiazza l’ultimo film di una grande icona del cinema, Clint Eastwood. E nasce spontaneo il parallelo con Robert Redford nel suo recente Old Man & the Gun.
Al limite della possibilità di lavorare ancora nel cinema a causa della loro elevata età, entrambi gli attori si misurano con storie tratte dal vero su grandi vecchi: Redford con quella di Forrest Tucker, un criminale in carriera e artista delle evasioni, Eastwood con quella di Leo Sharp, veterano della seconda guerra mondiale, diventato a novant’anni corriere per il cartello messicano Sinaloa. Non può non colpire l’esibizione di questi due attori nelle loro rughe crepate, nell’incerto incedere, nell’assumersi la responsabilità di stridere con il ricordo che lo spettatore ha interiorizzato in anni di immagini cinematografiche, e che continuano a giocare, ad ironizzare su se stessi lontano da lifting, lipofilling, filler, botox, e chi più ne ha ne metta.
La loro sembra quasi una scelta etica: i protagonisti dei due film, burberi, irriducibili, testardi, vecchi tutti d’un pezzo, Forrest e Leo, sono quanto di più lontano esiste dal contemporaneo e disperato tentativo di un prolungamento sentimentale dell’adolescenza. E nella definizione dei loro tratti, delle loro caratteristiche, Clint e Robert, così come ora sono, quasi sembrano la manifestazione fisica del carattere dei loro personaggi. Con tutti i loro difetti. Redford, in Old Man and the Gun, è seduttivo, generoso allegro e irresponsabile, indisponibile a qualsiasi compromesso, Eastwood ne Il corriere è egoista, edonista, totalmente autocentrato e reazionario. I difetti, che quasi potremmo definire come le rughe dell’anima, sono lì a testimonianza di un carattere compiuto e ormai venuto definitivamente alla luce. Nessun’altro attore imberbe, tantomeno maturo, seppur esperto, avrebbe potuto meglio interpretare i protagonisti dei due film. La vecchiaia sembra essere l’humus nel quale si sono coltivati e definiti i caratteri dando forma a quella faccia, a quella figura che vediamo e che, per dirla alla Hillman, quasi segnano un destino. Servivano quella scorza lì, quel piglio, quella spudoratezza per far esaltare la sapidità di questi due irriducibili personaggi.
Abbandonate le tematiche sulla responsabilità del male, e sulla ricerca di dio presenti in molti dei suoi film, Mistic River, Million Dollar Baby, Hereafter, e persino Gran Torino, Eastwood qui sterza e sembra volersi ripiegare su se stesso e su ciò che nella vita conta di più e ricostruisce un personaggio non proprio simpatico, qualunquista e razzista, fiero. Un floricultore dell’Illinois che riesce ad occuparsi ossessivamente solo della coltivazione di un fiore che vive solamente un giorno. Al lavoro sacrifica ogni cosa, persino le sue relazioni familiari; quando poi il commercio passa nelle mani di internet e la sua azienda fallisce, si ritroverà solo e senza un soldo. Deciderà così di vendere la casa e con il suo pick-up si metterà al servizio di un gruppo di narcotrafficanti per trasportare grossi carichi di droga. In questo nuovo capitolo dell’esistenza non avrà remore nel godersi le ingenti somme di denaro che guadagna, anche mettendole al servizio dei suoi amici più cari e della giovane nipote, l’unica che sembra comprenderlo nel suo modo di essere.
La situazione si complicherà quando entra in gioco l’agente delle DEA Colin Bates (un Bradley Cooper kevincostneriano) e soprattutto quando, come per incanto e imitando il fiore di cui è appassionato, anche nel suo cuore nascerà, seppur tardivo, un sentimento di affetto per la sua famiglia, per la sua ex moglie morente. A volte ci vuole una vita intera per far maturare un seme, e forse l’invecchiare acquista il suo senso proprio per dare compimento a questa intima missione. Una volta arrestato avrebbe potuto mentire di fronte al giudice, ma questa volta decide di scegliere perché ha imparato ad amare.
Nel gran finale il buon vecchio Clint torna alle radici iniziali con qualcosa in più che rivela quella che era la sua missione originaria: ora che sa prendersi cura dei suoi cari può tornare a coltivare i suoi fiori, non importa se in carcere. La sua libertà di imporsi nella sua eccentricità e stravaganza che lo ha portato a non smussare ma ad esaltare gli aspetti e i lati del suo carattere si è arricchita di una capacità. E questo lo definirà nella sua unicità assolutamente speciale e dunque ingiudicabile
Articolo del
25/02/2019 -
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