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Hero è il penultimo lavoro di Zhang Yimou (a gennaio arriverà sui nostri schermi anche "La foresta dei pugnali volanti"), cineasta della cosiddetta “quinta” generazione, vecchia guardia orientale - anche se non il più vecchio - che più di ogni altro ha rilanciato il cinema cinese dagli anni ’80 a oggi. Maestro internazionalmente riconosciuto, Yimou è infatti l’autore cinese più famoso e più premiato. Ricordiamo tra i tanti film solo per citarne qualcuno: Lanterne Rosse (1991) Leone d’argento a Venezia, La storia di Qiu Ju (1992) e Non uno di meno (1999) entrambi Leone d’oro a Venezia, La locanda della felicità (selezione ufficiale del 52° Festival di Berlino – 2002). Questa volta Yimou sceglie una strada ben diversa: abbandona i toni impegnati dei film precedenti per darsi interamente al puro gusto di girare un film di genere. Un tuffo nel passato, Hero - vero action movie - si riallaccia alla tradizione di cappa e spada della letteratura wuxia e alle pellicole di arti marziali che hanno fatto la fortuna e la storia di Hong Kong. A ben vedere, però, tale scelta formale non si discosta dalla peculiarità dei lavori precedenti, cioè di ambientare i film nel passato per parlare del presente. La vicenda si svolge durante il “periodo dei regni combattenti”, circa nel III secolo a.C.; la Cina è divisa in sette stati, in continua lotta tra di loro. Il re del regno di Qin è ossessionato dall’idea di unificarli sotto il suo nome, ma viene ostacolato da tre pericolosi assassini, Neve, Lama Spezzata e Cielo, contro i quali nemmeno il suo valorosissimo esercito può far nulla e, promette così immensi doni a chi li eliminerà. «La nostra forza è nella calligrafia» enuncia uno dei protagonisti. La frase è un pretesto per inanellare una fortissima componente metalinguistica e autoreferenziale, perché la “bella scrittura” - senza accezione negativa del termine - è eternamente un punto fermo del sapere e dell’arte dell’Estremo Oriente, e forse in nessun’altra cinematografia dell’universo la questione della forma è stato in ogni tempo così fondamentale come nel cinema cinese, giapponese e coreano. Vi è centrale la riflessione portata sul linguaggio cinematografico: la m.d.p. come una penna (parafrasando una frase «la caméra-stylo» di Alexandre Astruc) e al tempo stesso interrogazione sul linguaggio scritto, valore basilare quest’ultimo in una cultura come quella cinese fondata su migliaia di ideogrammi. La scrittura, o la figura vicaria che la sostituisce (la parola, la cultura,) diventano metafore indispensabili per scongiurare tutte le guerre (programmaticamente annunciato dalla sequenza in cui il gruppo di allievi, malgrado i nugoli di frecce che penetrano nella scuola di scrittura, continua a scrivere, combattendo il nemico con la sola forza della sapienza). Hero è infatti un film sull’amore, sulla fratellanza, sulla pace, ma anche sull’importanza dello studio (tema ricorrente e ossessivo nella filmografia di Yimou, pare allacciarsi a quanto è avvenuto molti decenni fa in Cina, quando per ragione puramente politiche la cultura fu fortemente ostacolata e gli intellettuali patirono violenze e furono perfino uccisi). Una leggenda antica - una delle tante - con la quale si spiegherebbe l’origine della prima dinastia di imperatori di tutta la Cina, i Qin appunto, ma raccontata con tematiche moderne. È un film da non perdere, se volete, per conoscere cosa fa la differenza fra un maestro del cinema come Yimou e un regista di genere, che ha dimestichezza con il mestiere, ma si contenta di fare il suo lavoro perfettamente, senza emozionarci. Tra citazioni cinéphiles, il wester e l’epica di Sergio Leone, i primissimi piani, il montaggio sul dettaglio degli occhi prima dell’azione e, tra flashback menzogneri, in cui spicca lo spunto alla Rashomon, l’ambiguità dei significati, la verità molteplice, l’impossibilità di “una” verità unica (la verità viene raccontata più volte, in maniera differente scegliendo per ogni storia un suo colore simbolico, come un quadro impressionista), Yimou ci regala 1.33 minuti di kolossal d’autore. L’unica verità diventa per noi spettatori l’assenza di realtà: forse il guerriero senza nome brama a salvaguardare il re del regno di Qin dai tre invincibili killer, che chissà se ha sconfitto, oppure a sua volta aspira ad assassinarlo? Che importanza ha saperlo se il vero “hero” è colui che offre la sua stessa vita a costo di mutare la guerra e la vendetta in pace e amore!
Articolo del
03/01/2005 -
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