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Patrice Leconte
Confidenze troppo intime
2004
Lucky Red
di
Giovanni Graziani
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Perché sono "troppo" intime le confidenze che Anna (una Sandrine Bonnaire all'inizio quasi irriconoscibile) fa a William? Perché si tratta di sesso? O perché rivelano il lato nascosto di una storia di coppia? Se le cose stessero così, il rapporto fra di loro sarebbe ordinario. Peggio, sarebbe uno stereotipo. La storia della "donna insoddisfatta" e del "timido professionista" potrebbe essere quella di una telenovela (o di un film porno, a seconda di ciò che si mostra e ciò che si nasconde) e il loro incontro non uscirebbe dai luoghi comuni in cui gli altri protagonisti della storia (la ex di lui, il marito di lei, lo psicanalista, la segretaria … e forse anche qualcuno nel pubblico) collocano ciò che vedono: una storia che può portare al sesso, al limite al grande amore, comunque ad una conclusione scontata e già pronta per loro. Invece la storia di Anna e William è fuori dallo stereotipo fin dall'inizio: è frutto di un imprevisto (che, come dice il poeta, "è l'unica speranza"), ed in maniera imprevista si dipana nell'incomprensione di chiunque altro. E l'intimità che si crea fra di loro è qualcosa di totalmente inedito anche per loro; così è l'ascolto che William presta ad Anna, un atteggiamento che può essere innocente o morboso, altruista o egoista, che può nascere da un sentimento quasi paterno o di tipo voyeuristico, ma che col tempo va al di là delle sue motivazioni e lo porta fuori dal personaggio che recita ogni giorno; e così è il rivelarsi (e il progressivo guarire, testomoniato dalla crescente bellezza di Sandrine Bonnaire) di Anna, che sceglie di continuare a confidarsi al di là della "competenza" di lui ad ascoltarla. Come in "L'uomo del treno" e in altri film, Patrice Leconte si diverte così a immaginare un incontro improbabile ed a raccontarne gli imprevedibili sviluppi. E riesce ad affascinare con un cinema fatto di parole e di sguardi che ha l'ulteriore merito di restare cinema d'autore senza diventare mai opera di un maestro (cioè uno stereotipo che si autoriproduce sempre uguale).
Articolo del
13/12/2004 -
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