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Tre film usciti recentemente propongono dei percorsi nei labirinti della memoria, viaggi accidentati sull’ineffabile indefinitezza dei ricordi, attraverso tre possibili soluzioni stilistiche: Michel Gondry con Se mi lasci ti cancello, si inerpica in una ricerca esasperata dell’oblio come vana pace dei sensi. In un incessante andirivieni tra passato e presente il protagonista cercherà di cancellare dalla mente – grazie a un programma rivoluzionario – i ricordi legati alla vita con la fidanzata; anche il protagonista del film 2046 di Wong Kar-wai lasciandosi prendere dal gioco dei rimandi tra le cose e le persone, adotta la strada della cronologia spazio/temporale spezzettata e rimescolata, ripercorrendo gli incontri femminili che hanno attraversato il suo cammino, segnato la sua esistenza: il passato che non passa e che riemerge perfino nel futuro, ovvero nel luogo dove tutto è già stato vissuto, tutto è ricordo di qualcosa; invece Exils dell’algerino Tony Gatlif è ancora un viaggio lungo il crinale della memoria, dal sapore autobiografico, ma questa volta è il taglio documentaristico a prevalere. Gatlif rispetto ai due precedenti film che prediligono l’andamento amorfo e fugace del ricordo, che diviene istintivamente visione, sogno, fantasticheria, sceglie il côtè realistico e documentaristico, al confine con un cinema antropologico e di ricerca. A partire dal bellissimo incipit, la m.d.p. che si sofferma sull’epidermide dell’attore, con la messa in immagine del corpo, tende a sottolineare la materialità degli elementi della realtà che il film lavora. Al centro del discorso c’è un’idea di rappresentazione puramente fisica. Come in Gadjo dilo - Lo straniero pazzo lo studente protagonista della pellicola, parte dall’ascolto di una cassetta musicale da Parigi alla Romania - film che segnalerà nel 1998 Gatlif tra i grandi autori, aggiudicandosi il Pardo d’argento per il miglior film e quello di bronzo per la miglior interpretazione femminile, Rona Hartner, al Festival di Locarno -, o come in Vengo dove in un paesino dell’Andalusia, patria del flamenco, si consuma una faida tra due famiglie rivali entrambe ai margini della legalità – film di chiusura della 57esima Mostra di Venezia 2000 -, anche in Exils la musica diventa nucleo centrale dell’intera opera. L’autore rielabora per l’ennesima volta i materiali di un discorso in realtà estremamente lineare, lasciandosi guidare ancora dalla musica. Il film è nuovamente la storia di un viaggio, anzi un triplo viaggio: fisico, interiore e musicale. A Parigi nei nostri giorni, Zano (Romain Duris, fedelissimo di Gatlif, stesso interprete di Gadjo dilo) figlio di francese fuggiti dall’Algeria dopo l’indipendenza propone a Naima (Lubna Azabal) figlia di immigrati, di percorrere a ritroso il loro itinerario familiare, meta Algeri, loro terra di origine (non sarà un caso che sia anche quella del regista). Un on the road dai tratti autobiografici, per ri/trovare le proprie radici familiari. Prima la Spagna, poi il Marocco, infine l’Algeria. Intorno a loro cambia il paesaggio, la gente e la musica: dalla techno-music parigina, si passa al ritmo del flamenco dell’Andalusia, infine alla trance catartica dei Sufi, negli antichi quartieri di Algeri (musica composta dallo stesso autore, compresa la trance che chiude l’opera). Nella scelta di raccontare un viaggio-ricerca nella memoria, Gatlif intende anche percepirne i mutamenti e i segni che lascia il tempo. Ne emerge una toponomastica dei ricordi, in cui il paesaggio diviene metafora dell’entropia del tempo. Dall’umanità migrante e precaria dei rom e dei clandestini, che portano i segni interiori del loro espatriare, il dolore/sudore, in cerca di speranza (la commovente lettera della giovane emigrante in esilio alla madre), all’impatto prepotente con il paesaggio di Algeri, complice un terremoto che ha messo tutto sottosopra, rimescolando carte e sensibilità, fino alle cicatrici del corpo che registrano esteriormente il passaggio dell’epoca. Ma il quattordicesimo lungometraggio dell’autore algerino, porta anche i segni di un prestigioso riconoscimento: il trofeo per la miglior regia all’ultimo Festival di Cannes. Biglietto da visita che speriamo finalmente farà notare definitivamente questo autore a un pubblico e a una critica internazionale, nonostante sia attivo già dagli anni Settanta con numerosi titoli e sceneggiature.
Articolo del
31/01/2005 -
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