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Si può forse ben dire che Kim Ki-duk sia il caso cinematografico dell’anno nel nostro paese. Ignorato dalla distribuzione per i suoi primi film (le opere più estreme come Seom, Address Unknow e soprattutto Bad Guy), Kim è infatti al centro dell’attenzione in questi ultimi mesi con i successi di Ferro 3, Leone d’Argento 2004 e con Primavera, estate, autunno, inverno.. e ancora primavera. Il caso Kim ki-duk ci conferma una tendenza di gusti, un certo sdoganamento del cinema orientale in genere. Forse il 2005 sarà l’anno della definitiva affermazione dell’Estremo Oriente? Comunque vadano le cose, prima o poi doveva succedere che i film di questo grande autore selvaggio e geniale – secondo chi scrive il più significativo del suo paese, assieme a Park Chan-wook - giungessero in Italia. La violenza scorre copiosa nei suoi film (gli ami infilati nel sesso femminile di Seom, gli stupri di Crocodile e di The Coast Guard, ecc.), ma non è mai mera illustrazione o mostrazione che tanto cinema americano ci ha ormai abituati. È la violenza insita nell’essere umano, componente immanente e inseparabile secondo Kim (significativo per quanto riguarda la violenza del mondo come un ciclo naturale continuo è Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera). Binjip – Ferro 3 conferma una maturazione e affinazione in atto nello stile dell’autore coreano, pieno di continui richiami interni alla sua filmografia (anche qui per esempio come in Bad Guy i protagonisti maschili sono completamente muti). In questo senso va la scena in cui Tae-suk (Ferro 3), amante del golf (ferro 3 è il nome di una particolare mazza del golf), tirando una pallina per strada colpisce il vetro di una macchina ferendo la passeggera. Nuovamente l’uomo si inserisce inevitabilmente in questo ciclo di violenza naturale delle cose, anche se per volontà propria si sceglie una strada diversa. Anche il diventare fantasma di Tae-Suk cioè essere “altro”, finalmente libero rispetto alle regole imposte, è ancora uno dei nodi della poetica di Kim. La pellicola è la storia di un ragazzo, Tae-suk, che scassina abitazioni altrui, non per rubare, ma per introdursi nelle case altrui, usare gli oggetti che trova a portata di mano, aggiustare quelli rotti, lavare la biancheria sporca, riposare nei letti… cerca in qualche modo di appropriarsi della vita di altri. Tutto funziona, fino a quando non viene scoperto da Sun-hwa, infelice moglie di un violento uomo d’affari. Tra Tae-suk e Sun-hwa si instaura subito un rapporto di complicità. I due cominciano ad entrare nelle case insieme, e pian piano s’innamorano. Ma il mondo in cui si addentrano non può capirli. Scena finale da antologia tra realtà e sogno Tae-suk e Sun-hwa riusciranno a far quel che vogliono ignorando i condizionamenti violenti e le leggi naturali delle cose. E su questo equilibrio tra realtà e finzione si chiude il film. L’arte mescolandosi con la vita crea un continuo gioco di rimandi in cui realtà e finzione si rincorrono e si specchiano. Forse “siamo tutti case vuote, ed aspettiamo qualcuno che rompa la serratura e ci renda liberi” ha detto Kim ki-duk...
Articolo del
08/03/2005 -
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