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Forse non piacerà ai produttori di vino italiani e francesi, data l’esaltazione del vino made in U.S.A.; forse la battuta “io non berrò mai un cazzo di Merlot!” farà sobbalzare sulla sedia i viticoltori nelle Tre Venezie e nel Bordeaux; sicuramente si poteva fare meglio per la fotografia e il montaggio; forse, ma Sideways si impone comunque come un ottimo film, ben scritto, ben girato e ben interpretato. Sorvolando sulla trama (i film vanno visti e non raccontati…), merita accennare a quei frammenti di America che raramente si vedono nei film: colline pettinate da filari di viti e stradine tortuose immerse nel verde, un America serena e vinaiola troppo spesso soffocata dalle abusate metropoli o dagli ossessivi (o filosofici?) deserti. Certo nel film l’America tradizionale si può occhieggiare qua e là, in un motel quanto mai standard, come in un wine bar appunto all’americana o in casette squallide di periferia, ma il film rende comunque un’immagine che è “altro” rispetto a quanto siamo soliti vedere sul piccolo come sul grande schermo. La scelta degli attori protagonisti, poi, conferma questa “alterità” di fondo: Paul Giamatti (Miles), bravissimo, tutto sembra meno che un attore americano, T.H. Church (Jack) sembra essere stato truccato apposta per fare il verso allo Schwarzenneger prima maniera; sulle attrici l’impegno è stato a metà: lodevole dare spazio a Virginia Madsen (Maya), una delle più talentuose attrici degli anni ’80 e ’90 (qualcuno la ricorda in Dune?), per il resto Payne ha scelto (ammesso che fosse in condizioni di farlo…) di dare spazio alla sua affascinante moglie Sandra Oh (Stephanie). Su Alexander Payne vale la pena spendere qualche parola in più: viene da Omaha, in Nebraska, e tanto basterebbe per intuire il suo talento cinematografico. Di Omaha erano anche Henry Fonda, Montgomery Clift, Fred Astaire e da Omaha viene anche Nick Nolte. E buon sangue non mente: a parte la prima produzione, forse sconosciuta ai più ma comunque valida, Payne “sfonda” con “A proposito di Schmidt” nel 2002, complice anche uno straordinario Jack Nicholson. Nel frattempo, però, aveva avuto modo di dedicarsi con profitto anche alla scrittura cinematografica, scrivendo i propri film e partecipando fra l’altro, insieme al suo fido Jim Taylor, alla sceneggiatura di Jurassic Park III. Il cinema, però, è bello farlo dall’inizio alla fine, e se ancora Payne non è riuscito a chiudere tutta la filiera, gestendo, come il nostrano Moretti, anche una sala cinematografica, ha però pensato bene di occuparsi anche della produzione: dopo una prima esperienza con il suo “The passion of Martin”, produce il buon film “The Assasination (of Richard Nixon)”, in questi giorni sugli schermi italiani, con l’insuperabile e imprevedibile Sean Penn. Insomma, un giovane (è del 1961) genio cinematografico a tutto tondo, che speriamo possa continuare sulla strada dell’indipendenza creativa e produttiva che sin ha mostrato di seguire: è uno dei pochi registi americani che si riserva i diritti finali (anche di montaggio) sui propri film e nell’industria cinematografica americana questa non è cosa da poco, se anche un genio cone Ridley Scott ha dovuto aspettare venti anni per proporre Blade Runner con il proprio finale originale! P.S. Ho scelto di proporre la locandina americana del film, più minimalista ed efficace di quella un po’ “anni settanta” uscita in Italia…
Articolo del
15/03/2005 -
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