Avete presente quel film di Woody Allen di qualche tempo fa (“La rosa purpurea del Cairo”, 1985) in cui a un certo punto Jeff Daniels attraversa lo schermo cinematografico per entrare in sala per raggiungere una sua assidua spettatrice e ammiratrice e quindi scappare con lei? Bene, anche se non avete visto quel bellissimo film, immaginatevi una scena analoga, ma con un epilogo al contrario: Michelle Yeoh, la protagonista di ”Everything Everywhere All at Once” che attraversa lo schermo, questa volta del PC da cui scrivo, mi schiaffeggia e, senza dire una parola ma con uno sguardo carico di disprezzo e scherno, ritorna nel fantastico mondo del suo metaverso, a godersi il successo del film e il suo meritatissimo Oscar come migliore attrice.
Cosa era successo? Qualche tempo fa, chi scrive riceve come di consueto un invito stampa alla anteprima del film dei The Daniels ma, preso da altri impegni e da un improvvido snobismo cinematografico, decide di declinare, per ben due volte (sic!), l’invito, ritenendo la pellicola di poca prospettiva, seppure senza dubbio originale e accattivante prodotto della più avanguardistica casa di produzione indipendente made in USA.
Il film, come oramai noto a tutti, fa incetta di Oscar (Miglior film a Daniel Kwan, Daniel Scheinert e Jonathan Wang, Miglior regista sempre ai due Daniels, Miglior attrice a Michelle Yeoh, Miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan, Miglior attrice non protagonista a Jamie Lee Curtis, Miglior sceneggiatura originale sempre ai The Daniels, Miglior montaggio a Paul Rogers). Quale mese prima aveva inoltre già raccolto due Golden Globe (Migliore attrice in un film commedia o musicale a Michelle Yeoh e Miglior attore non protagonista a Ke Huy Quan), oltre a svariate nomination e a luglio dello scorso anno, a soli 4 mesi dall’uscita, aveva superato la soglia dei 100 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo, diventando il primo film indipendente dopo la pandemia a raggiungere questo traguardo.
In altre parole, ho cannato alla grande, una toppa pazzesca, e meriterei veramente due schiaffoni (cinematografici, beninteso…). Ora, quindi, non mi resta che fare ammenda e invitarvi a vedere il film, di nuovo nelle sale di tutta Italia con una ottima distribuzione. Io, dal mio canto, dovrò rivedere qualche concetto sul ruolo e l’essenza della settima arte…
P.S. anche un piccolo capriccio di autostima italica dovrebbe spingerci alla visione del film: il nome della casa produttrice, A24, prende il nome dall’Autostrada dei Parchi, che collega Roma, L’Aquila e Teramo e che uno dei suoi fondatori stava percorrendo in auto allorché ebbe l’idea di dare vita alla società, che dal 2012 in poi si sarebbe distinta in un crescendo di qualità e numerosità delle produzioni indipendenti dalle grandi major americane.
Articolo del
14/03/2023 -
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