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«Benvenuti nel mio mondo dove tutto è perfetto: i Magazzini Yeyo’s. (…) Mi considero un tipo attraente, di classe. La mia massima aspirazione consiste nel godere una vita conforme ai miei gusti. Sono una persona elegante, che pretende solamente di vivere in un mondo elegante. È chiedere troppo questo? (…) Lavoro in un centro commerciale. Mia madre mi ha dato alla luce qui, nel Reparto Accessori, mentre comprava una borsetta. Questo è il mio mondo, la mia vera casa, il mio rifugio. Un luogo dove tutto è perfetto: la luce, la musica, i colori, il profumo… Nel Reparto Donna mi sento come il sacerdote di un tempio pagano che vive circondato dai propri fedeli». Così si presenta in prima persona Rafael Gonzalez/Guillermo Toledo il protagonista di Crimen perfecto, rivolto con sguardo in macchina, ammiccando e coinvolgendo lo spettatore nelle sue azioni, nelle sue idee per gran parte del film. Incipit “bavard” quello del settimo film del regista basco Álex de la Iglesia tra gli autori più emblematici del giovane cinema spagnolo (Azione mutante del 1992 è il suo primo lungometraggio, prodotto da Almodòvar, El dia de la bestia e La Comunidad-Intrigo all’ultimo piano sono i suoi film più conosciuti – almeno - in Italia). Dotato di una grande ironia, Álex de la Iglesia sapientemente ci dimostra di saper giocare con l’eccesso, e sul piano linguistico ne mostra la smorfia grottesca. Un cinema ironico, intriso di cultura spagnola (i classici della letteratura spagnola, la tradizione picaresca del XVI sec. e Cervantes con il suo Don Chichotte che costituisce uno dei capisaldi fondamentali di tutta la tradizione umoristica autoctona), spesso farcito di riferimenti che provengono dalle più eterogenee tradizioni (il teatro dell’assurdo, la filosofia) messe in cortocircuito con molti degli elementi canonici della cultura di massa, per lo più la televisiva (per esempio lo stile finto-tv-verità rappresentato dalla versione madrilena di Strano amore). Alex de la Iglesia citando le forme più diverse della cultura moderna, fa riferimento anche al mondo dei fumetti (in particolare omaggio a Goscinny il padre di Asterix, Obelix & Co. nella scelta del titolo originale Crimen Ferpecto, non è un “refuso” dice Iglesia, ma un modo di dire di Obelix che quanto è ubriaco, ridendo ripete continuamente “ferpectamente!”) e alle mode e ai gerghi giovanili, producendo un cinema che mette in discussione i confini pre-ordinati, puntando sulla manipolazione dei materiali, sul superamento dei generi. Ibridazioni di culture, compresenza di arcaico e modernissimo: nel contaminare l’alto e il basso, la comicità del cineasta vira al grottesco e al gioco di parole. La cultura eclettica di Álex de la Iglesia, appare, così nel profondo ancorata all’origine spagnola. Ricorda in primis i film di Buñuel (scena emblematica da teatro dell’assurdo, quella durante un pranzo a casa della famiglia di Lourdes/Monica Cervera, con la mamma nevrotica e psicopatica, il padre narcolettico e la sorellina di 8 anni che urla e minaccia “di far saltare tutti in aria lasciando aperto il gas” non prima di aver confessato di essere incinta di tre mesi del suo professore che la violentata), decisamente l’umorismo è di casa in Spagna e ha fatto da spunto a molti film. Bersaglio delle frecce di Iglesia, il costume sociale, la televisione che impone e forma modelli e comportamenti, i conformismi e i luoghi comuni soprattutto culturali, le mode che triturano tutto perfino le ideologie. L’autore rappresenta uno degli scenari tipici “della società delle merci” su cui la nostra civiltà si consuma: il grande magazzino. Intorno si agita un variopinto bestiario di commessi/e che si fanno la guerra tra di loro, vigilantes corrotti e ripugnanti, clienti animate da consumismo compulsivo. Il magazzino, asettico non-luogo, diventa una specie di personaggio che si anima a sua volta. L’autore irride la miseria culturale e le idiozie su cui ha sperato il consumismo. La comicità di Iglesia tritura tutto, ecco allora il trionfo del pulp e della situazione iperbolica e paradossale. Il film è costruito con esagerate e esilaranti situazioni iperboliche, che arrivano a effetti surreali e grotteschi, usando gli stili dell’eccesso gonfiandoli fino a farli deflagrare nel massacro trionfalmente pulp delle sequenze finali. La commedia nera in stile coeniano sul consumismo e i mass media, ci fa riflettere… partendo da un cliché alquanto abusato. “Un mondo di carta” come dice il protagonista e sottolineato dalle pagine-fumetto dei titoli di testa. Il regista riesce a sfruttare la parentesi grottesca condita da humor nero – ci scappa anche il crimine/delitto del titolo - per trascinare lo spettatore in un viaggio incubo eccessivo. Dietro l’apparenza di una commedia nera, il regista dichiara il suo modello: Hitchcock. Riprende il classico spunto hitchcockiano del delitto perfetto. Il tentativo è quello di misurarsi con il gioco della citazione e delle allusioni, il film è esplicitivamente una citazione aperta di Delitto perfetto: «I film sono fatti per disilludere la gente, non è un delitto perfetto» dice Rafael strizzando l’occhio al cinema nel cinema perché il suo personaggio sta imitando e guardando le immagini del set di Delitto Perfetto. Rafael è Tony Wendice/Ray Milland: «…nei romanzi le cose vanno come l’autore vuole che vadano ma nella vita no, mai» confessa lo scrittore Mark a Tony nella pellicola di Hitchcock. Crimen perfecto così si rivela come il prodotto di una sovrapposizione di modelli culturali tradizionali, popolari e consumistico-televisivi. L’autore recuperando un ammasso di valori, li riutilizza dopo averli svuotati dei loro significati, creando un nuovo zibaldone che li mostra e li dichiara nella loro impazzita e giocosa inconsistenza. Sembra quasi insomma che i procedimenti che Álex de la Iglesia utilizza rappresentano lo scenario su cui la nostra civiltà si consuma. «Ognuno cerca un mondo migliore e tutto perfetto…» firmato Rafael.
Articolo del
25/03/2005 -
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