”Io Capitano” è un film necessario e imprescindibile, soprattutto di questi tempi, in cui si dibatte della questione migranti con troppa superficialità, arroganza e faziosità, dimenticandoci sempre l’umanità, gli esseri umani che sono dietro ad ogni fatto di cronaca e da cui restano esclusi, anzi schiacciati.
Un film necessario, come avvenne anni or sono, all’indomani della prima grande tragedia di Lampedusa, per un libro bellissimo e poco conosciuto, “La Frontiera”, del compianto giornalista tarantino Alessandro Leogrande, con le persone, le loro storie, i loro drammi, l’assenza di scelte e alternative al centro della vicenda migratoria.
Un film necessario, per far sì che non si debba mai più discutere di persone che si muovono da un lato all’altro del pianeta dimenticando una bimba di cinque mesi che affoga a pochi metri dalle nostre spiagge.
Un film necessario, dunque, anche se non bellissimo, anche senza riuscire ad essere uno dei capolavori a cui Matteo Garrone ci ha ormai abituato. Garrone che non abbandona le terre di confine, dell’anima e non solo, dello splendido “Dogman”, ma che torna anche alle origini del suo percorso cinematografico, al folgorante esordio del 1996 con “Terra di mezzo”, con le sue storie di migranti emarginati nel nostro Bel Paese. Un film che ha tanti pregi oltre quello civico, come la fotografia, il montaggio, la recitazione corale di attori professionisti e non (per lo più migranti che hanno sperimentato sulla propria pelle l’esodo), ma che non graffia a sufficienza l’anima per un andamento troppo “favolisitico”, quasi patinato, senza quel cambio di ritmo drammatico che una vicenda come quella raccontata meriterebbe.
Resta comunque encomiabile l’intento di raccontare in ”controcampo” – come ha detto lo stesso regista alla presentazione del film a Roma al cinema Barberini, insieme ai due giovanissimi attori senegalesi protagonisti della pellicola – l’epopea maledetta che ogni giorno, da anni, i popoli, le singole persone – neonati, bambini, ragazzi, donne e uomini di ogni età e condizione, con la loro vita stretta in uno straccio - di ogni sud del mondo devono affrontare per la sola colpa di ostinarsi a vivere. Resta comunque un film che offre a ogni fotogramma un’immagine quasi pittorica. Resta una sequenza finale ricca di pathos, sentimenti e splendidi primi piani. Evviva Garrone, evviva il cinema che sa resistere.
Articolo del
19/09/2023 -
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