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A distanza di qualche mese dallo splendido Ferro 3 (Leone d’argento per la regia a Venezia 2004), il prolifico Kim Ki-duk fa capolino nelle sale italiane con Samaria - La Samaritana, Orso d’argento a Berlino 2004, nuova occasione per l’ennesimo film intenso e appassionato del 45enne capogruppo della cinematografia della Corea del sud. Festival internazionali come Venezia, Cannes, Berlino, Locarno fanno a gara per contendersi la sua presenza, apprezzata ormai non solo dagli innamorati e studiosi di cinema. Kim crescendo ha trovato sempre più una perfezione stilistica e questo penultimo film né è una riprova. Proseguimento ideale della sua precedente filmografia, si accosta ai topoi della sua arte e ai quali ha dedicato gran parte del proprio eterno discorso sull’impossibile decifrabilità della realtà circostante. Una selezione del mondo sensibile in cui i nessi di causa/effetto vengono meno, rimpiazzati da un grandissimo e doloroso cortocircuito: i confini in cui il bene e il male si rincorrono, si dilatano, è l’immanenza della violenza insita nell’uomo. Come in Primavera, estate, autunno, inverno.. e ancora primavera, la narrazione era divisa in capitoli, che corrispondevano al cambiamento ciclico delle stagioni della natura specularmente a quelle dell’uomo, anche qui la pellicola è divisa nettamente in 3 capitoli, diacronici e consequenziali, questa volta però la narrazione si sposta, focalizzandosi sui diversi personaggi: Vasumira, Samaria e Sonata. Nella prima, vengono presentate due giovani studentesse, legate da un amore saffico: Jae-Young, che si prostituisce e l’amica Yeo-Jin che procura i clienti e si assicura poi del pagamento. Nome d’arte di Jae-Young è Vasumira, preso in prestito da un racconto buddista; è il nome di una prostituta indiana - è la stessa Jae-Young che lo dice - che solo attraverso il contatto intimo è capace di comprende lo scambio nelle relazioni umane. Un business adolescenziale cominciato per gioco, per mettersi da parte i soldi necessari per comprarsi i biglietti aerei per il loro sogno: un viaggio in Europa. Nella seconda narrazione il regista riesce a costruire molto bene la storia di redenzione, Yeo-Jin, è la buona samaritana, che dopo la morte dell’amica, prende il suo posto, incontra i suoi clienti, ma rifiuta di farsi pagare, anzi restituisce loro i soldi, finché non viene scoperta dal padre. Protagonista della terza parte, è il padre di Yeo-Jin, un detective, che punirà quegli uomini con la violenza. La colpa e l’espiazione, temi paradigmatici nell’opera di Kim, ritornano in questo testo analizzati come sempre dal punto di vista laico, ma qui ammiccano ad una famosa frase, centrale nel discorso religioso cristiano: “chi non è colpevole scagli la prima pietra…” (non è un caso che viene utilizzato il sasso/pietra per colpire a sangue alcuni di questi uomini). Una pellicola ricercatissima dal punto di vista della struttura visiva: inquadrature che sovente riducono la visuale (vedi la fortissima scena in cui Jae-yeong scoperta dalla polizia mentre si prostituisce, si lancia dalla finestra della albergo, ferendosi mortalmente). L’autore pedina i suoi personaggi con uno stile, che lo porta a scegliere un linguaggio che suggerisce piuttosto che mostrare qualcosa, in nome di un discorso che privilegia il registro simbolico e metaforico. Non dimentichiamo che Kim ha imparato prima di tutto a dipingere, poi a girare e, la pittura ha ancora un’influenza determinate nel suo cinema (programmatica in questo senso la composizione dell’inquadratura/quadro realizzata dal carrello della m.d.p. nella sequenza del parco, dove le ragazze si siedono accanto a delle statue bluette). La Samaritana anche se tratta argomenti forti, come la prostituzione minorile, rifugia da ogni bieco sensazionalismo. Certamente, il film, non è immune da scene di violenza, ma esse assumono un ruolo subordinato rispetto al côte simbolico messo in scena da Kim. L’autore coreano non è interessato ad alcuna risposta alle questioni che pone, né tanto meno ci consegna alcuna morale, giungendo con un finale a sorpresa, lirico e commovente che consente una serie di letture plurime che accrescono intensità e senso alla storia narrata.
Articolo del
06/07/2005 -
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