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Già da alcuni anni si intravedono ampi orizzonti nell’estetica del digitale – lavori che non passano nei circuiti tradizionali ma sono relegati nell’ambito dei festival – grazie ai giovani che sperimentano linguaggi come ricerca personale e percorso di studio. La Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, in coerenza con quel “nuovo” che gli intrepidi fautori del festival ricercano ormai da 40 anni, ha istituito da un po’ di tempo una sezione video - Spazio video - curata da Andrea Di Mario. Una sezione dinamica e innovativa, che quest’anno celebra l’opera del pugliese Carlo Michele Schirinzi con una retrospettiva dal titolo “Visioni accidentate” e quella del gruppo catanese Cane CapoVolto. In queste pagine web ci faceva piacere segnalare alcuni lavori di Schirinzi, come All’erta!, in concorso nella sezione Progetto Video della scorsa edizione pesarese (Premio Shortvillage). Il giovane autore pugliese, che dal 2000 realizza video, ha maturato progressivamente un interesse in una direzione di scoperta di linguaggi nuovi dell’immagine, facendosi notare per la sua partecipazione in alcuni prestigiosi festival nazionali (ricordiamo Il nido che ha ricevuto la menzione nella penultima edizione del Festival di Torino, poi trasformato in un lungometraggio collettivo …A levante, formato da sette corti di altrettanti sette giovani registi). L’autore fa parte di quella generazione di artisti che utilizzano il digitale come rinnovamento e palingenesi dalla saturazione democratica dell’occhio elettronico - pensiamo alle migliaia di immagini del mondo con le quali facciamo i conti giornalmente: televisione, Internet, videotelefoni -, rappresentante di un nuovo “realismo”. Il suo cinema si caratterizza per l’uso di un linguaggio grottesco, la sperimentazione e la mescolanza delle tradizioni. L’autore pugliese cattura i materiali del profilmico - documentari d’epoca, canzonette nazional popolari anni ’40, musica “alta” come quella classica -, per poi rifonderli in un nuovo amalgama e osservarli sotto prospettive nuove. Così alle sequenze di un passato reale, documentari di repertorio, “messaggi” propagandistici improntati a una nascente consapevolezza mediologia (sono tutti cinegiornali originali d’archivio), si alternano riprese immaginarie, ricostruite in studio (lo stesso autore è il soldato/combattente del film). Il montaggio assolve un ruolo essenziale, un lavoro postproduttivo molto forte, come del resto tutti quelli del video, proprio perché indispensabile e funzionale quando si interviene poi al computer. Istituisce Schirinzi, un tipo di cinegiornale che non trascura neppure il trucco – a fini ironici – dei brani di repertorio. Agendo sul “frame”, il montaggio impedisce attraverso deformazioni, rallenti/accelerazioni, sfumature di luce, una piattezza visiva, utilizzando materiale d’archivio ripreso in digitale da un monitor televisivo. Il testo, un cinegiornale, che mette in scena la giornata esemplare del militare combattente, si divide in tre parti: Il prode risveglio (I episodio), in cui espressivo e efficace è lo stornellare di Wanda Osiris in Ti parlerò d’amore; Al fronte (II episodio) con le sue geometrie umane delle parate, delle esercitazioni e della guerra che trovano corrispondenza in “totali” eclatanti di riefenstahliana memoria, sulle note di Chopin e de L’italiana in Algeri di Rossini, e infine L’impavido esercizio (III episodio) dove un im/pavido Schirinzi rintraccia correlazioni visive in primi piani, non immemori della lezione espressionista (variazioni tonali di luci/ombre e schermi deformanti). Non mancano i riferimenti alla paura, al sogno e al desiderio, ecco allora il gesto scaramantico – grattatine – iettature e la grottesca performance dell’esercitazione col fucile al ritmo di Surfin’bird dei Trashmen (omaggio cinéphile fullmetaljacketkubrickiano, come dichiara l’autore stesso). Giocando con humor sul ruolo del cinegiornale (doveva essere realistico: solo riprese effettuate sul fronte e escludendo le scene ricostruite), l’autore riflette sul labile confine in cui propaganda e storiografia si toccano, sull’intento documentaristico e la sua doppia connotazione: usato come pamphlet e strumento di denuncia o come strumento di propaganda e militanza politica? Una storia ricostruita o una patacca… “brogliaccio” di cinema? Che importa saperlo, quando parliamo della Settima Arte!
Articolo del
13/07/2005 -
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