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E’ sanguigna e polverosa, l’opera prima di Stefano Mordini, di professione documentarista (e si sente). Restituisce una necessaria ed imprescindibile sensazione di “realtà”, di tavoli sporchi e sparecchiati male, di strade semivuote e catene di montaggio, di montagne di piatti da lavare e di biancheria sporca che puzza. Anche se incastona l’intera “Provincia meccanica” in una montatura nevrotica e forse un po’ presuntuosa. Insomma, è l’antipatinato del 2005. Però galleggia davvero in superficie, rimane schiavo di intuizioni ed affondi (anche altamente critici) che non riescono a colpire più di tanto. Dentro ci sono Stefano Accorsi (Marco) e Valentina Cervi (Silvia) – la figlia di Maigret – che interpretano, assieme ai loro due bambini Sonia e Davis, una famiglia di completi menefreghisti. Altro che anarchia ed utopia, come hanno scritto in molti. “Provincia meccanica” è la storia romanzata di come la povertà culturale e l’inesistenza del tessuto socio-urbanistico conduca a portare avanti una vita fatta di continui rimandi, di isterie all’apparenza immotivate, di superficialità e assenza di impegno e motivazione. Di menefreghismo, appunto, per una società che non pare darti nulla. E che può arrivare a distruggere anche quel che abbiamo di più gratuito e naturale: l’Amore. E però proprio quelle regole societarie interverranno – salvifiche - nella scalmanata esistenza della famiglia Battaglia. Sonia, la figlia maggiore, sarà strappata alla mamma-maledetta Cervi (troppo maledetta, a tratti) ed affidata alla nonna. Alla fine anche Silvia finirà a riprendersi in un centro d’assistenza. Non prima di aver tradito il marito con un marinaio che – non gli sarà sembrato vero – approfitterà dell’ottundimento di Marco per sguazzare alla grande in casa sua e sopra le belle e fiorenti forme della stressata moglie Silvia. Mettendola in cinta. In tutto il marasma, Marco non riuscirà a far altro che affidarsi ad un mago-cialtrone (Vanna Marchi docet) perdendo del tutto il lume della ragione e finendo travolto dagli eventi, salvo poi recuperare – poeticamente – una strada che lo condurrà al poco credibile finale. La sceneggiatura è –forse volutamente – povera, ridotta quasi all’osso. Comportando quanto detto sopra: il delinearsi di spunti interessanti (la triste vita parallela della centralinista Virginia, ad esempio) ma bruscamente tranciati in culla. Accorsi mette assieme due personaggi di successo da lui già interpretati, rubando l’isteria di Dino Campana alle botte di follia del malato-cliente di Nanni Moretti in “La stanza del figlio”: e non va oltre. Anzi: è forse il più patinato del film e a tratti indispettisce per la “maniera”. Rimane la gustosa sorpresa di Valentina Cervi: prorompente, espressiva e credibile. Forse ora – dopo una carriera costellata di film-culto (da “Escoriandoli” del cinico Antonio Rezza a “Figli di Annibale” a “L’anima gemella”) – le manca davvero la produzione massiccia che la faccia conoscere al grande pubblico.
Articolo del
02/09/2005 -
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