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Il Maccartismo fu uno dei periodi più oscuri degli Usa. La Commissione per le attività antiamericane presieduta dallo zelante (per usare un eufemismo) senatore Joseph Mc Carthy ne combinò di tutti i colori: intimidazioni, confessioni estorte sotto minaccia, censure, produzione di false documentazioni. E chissà cos’altro. Tutto per combattere, sfruttandone la incredibile eco, non tanto il fantomatico “pericolo rosso”, inesistente negli Stati Uniti, quanto le personalità progressiste – intellettuali, scrittori, attori, registi, giornalisti, politici – più scomode. Una vera e propria pressione di massa contro gli pseudo-comunisti d’America. Molti film hanno tentato di raccontare quel periodo in chiave critica ed analitica. Due di questi – “Come eravamo” di Sidney Pollack con Redford e la Streisand e “Il prestanome” di Martin Ritt con Woody Allen –, davvero fondamentali, cadono proprio nel decennio in cui gli Usa cominciarono a ripensare quel turbolento periodo di isterismo collettivo. Cotanta introduzione perché il secondo lavoro dell’ottimo regista George Clooney tenta proprio di dipingere gli anni più accesi di quella follia generalizzata (1953-1956) partendo dalla storia vera del mitico anchorman della Cbs Ed Murrow e del suo giovane team di giornalisti impegnati principalmente nella realizzazione della celebri trasmissioni “See it now” (approfondimento) e “Person to person” (talk-show quotidiano). Ora: questa è una pellicola alla quale non si può arrivare impreparati. Nel senso che è uno di quei classici film che vanno visti perché si pensa possano interessarci, perché smuovono e toccano tematiche a noi care, perché affrontano periodi in cui abbiamo voglia guardare meglio. Non perché – come sempre più spesso accade – si esce di casa e, non avendo nulla di meglio da fare, ci si infila in sala convinti di avere davanti “Armageddon”. Ed è questo l’unico requisito: presenza e pensiero davanti ad un film così “massiccio”. Lo spunto è quello di un turbolento servizio mandato in onda dall’arcigno e fumoso Murrow (un bravo David Strathairn, Coppa Volpi a Venezia) relativo ad un militare estromesso arbitrariamente – cioè senza produrre prove né celebrare processi - dal servizio per colpa di presunti legami comunisti del padre e della sorella. Da subito la camera, aiutata da un perfetto bianco e nero e da una colonna sonora molto easy-jazz, ci porta a seguire la concitata vita di redazione – e che redazione! -: le discussioni immerse in quintali di sigarette, le paure, le pressioni ricevute dall’alto man mano che i programmi su Mc Carthy e i suoi metodi cominciano a moltiplicarsi, gli sponsor che fuggono impauriti. Ma, alla base, una lezione elementare e al contempo universale ed attualissima, che sta proprio nelle parole di Murrow – voce narrante che da il via e conclude il flashback che incornicia l’intera vicenda -: la necessità, anzitutto, di una informazione libera e mai quieta quale requisito fondamentale per una democrazia sana. Che eviti di morire fra le implicite ed inevitabili metastasi. E, in secondo luogo, l’imprescindibilità che questa informazione sia quanto più tesa a scavare sotto le apparenze, all’approfondimento, alla critica arguta e mai doma. Insomma: un appello appassionato del cosiddetto “giornalismo watchdog”, il giornalismo cane-da-guardia che si fa baluardo della difesa dei principi costituzionali e civili fondamentali. E che ha reso celebre (non in quel periodo, a dire il vero) la stampa anglosassone. E di cui Murrow – armato della sola verità del fatti – fu emblema ed orgoglio. Altro che le “frittate” precotte odierne in onda ogni sera (sia negli Usa che da noi). Dentro c’è un discreto Clooney – anche se a conti fatti gli consiglierei di darsi totalmente alla regia, cui riesce a dare un taglio decisamente anticonformista – ma anche il bravo ex-desperado Robert Downey jr.. Ogni tanto serve puntellare (bene, con classe) i fondamenti della società. Senza la volontà di stupire ad ogni costo ma con l’intento – semplice ed enorme - di raccontare storie di (veri) eroi della contemporaneità. Film come “Good night, and good luck” (attenti a quella virgola, è fondamentale!) dicono meglio di mille strarnazzamenti cosa sia davvero l’Occidente nel suo lato migliore. Tv non significa (va) solo coriandoli, grancassa e trombette.
Articolo del
26/09/2005 -
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