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Willy Wonka, Willy Wonka, il Re del Cioccolato! Cantano le ossessive e allegre marionette meccaniche che accolgono i cinque vincitori del concorso più prestigioso della Terra: entrare nella fabbrica Wonka, il più grande, il più magico, il più misterioso Eden dei dolciumi che la fantasia umana abbia mai concepito. Ma, come ci si poteva aspettare dall’Oscuro Tim Burton, questo Eden è anche un luogo inquietante, una trappola quasi mortale per i bambini meno meritevoli, che verranno puniti senza pietà per essere schiavi del Vizio. Ad accogliere i bambini vincitori un cadaverico Caronte, un distratto, sciroccato e apparentemente inoffensivo Johnny Depp / Willy Wonka; sarà lui il giustiziere dei bambini, che cadranno l’uno dopo l’altro vittime dei propri capricci, mentre trionferà lo smunto, dickensiano e onesto Charlie. A prologo non casuale di ciò che accadrà a tutti all’interno della fabbrica, Tim Burton mette il suo nero zampino: le allegre marionette canterine, sotto gli occhi esterrefatti e inorriditi dei visitatori, cominciano (accidentalmente?) a bruciare per dei fuochi d’artificio impazziti, e si liquefanno orribilmente, tra esplosioni di bulbi oculari e teschi (di plastica) venuti allo scoperto. La fiaba originale (1964) dell’inglese Roald Dahl, assai più buonista e allegra, non possiede la carica di ironia acida e di gotica crudeltà che sa avere il maestro di Edward Mani di forbice e di Nightmare Before Christmas. Basti pensare all’invenzione, tutta burtoniana doc, dei flashback che raccontano l’infanzia di Willy Wonka, represso nella sua voglia di dolcetti da un padre inflessibile dentista, che blocca l’appetito del figlio con un infernale apparecchio dentale. Il padre di Wonka è il lugubre Christopher Lee (chi altri?), già Dracula, già Saruman il Bianco, già Conte Dooku. Ma la nostra guida al mondo di Wonka, così colorato fuori, così oscuro dentro, è Johnny Depp, alter ego ufficiale del regista, nonché attore ultimamente sempre più scatenato nel proporci personaggi bizzarri; ma anche per i ruoli più inverosimili e fantastici non fa mancare il suo studio profondamente “entomologico” (come dice lui stesso); per Wonka si inventa tutta una terribile infanzia di punizioni, di carenze d’affetto e di contatti umani, (che Dahl non si sarebbe mai sognato di scrivere), tanto da non riuscire proprio a pronunciare la parola “parenti”… Sarà il buon Charlie cuore d’oro, in un bel finale del tutto inedito a fargli riscoprire il valore della famiglia, facendolo riabbracciare col padre. E sarebbe facile anche spiegare il perché di tale finale così specificamente attento a glorificare l’istituzione familiare: Burton, recentemente sposatosi con l’attrice Helena Bonham Carter (presente in tutti i suoi ultimi film) è appena diventato papà, un’esperienza che, se non gli ha negato la sua carica di acido-dark, certo lo ha “ammorbidito” in alcuni punti. Punto forte ed irresistibile del film sono gli Umpa-Lumpa, la tribù di nanetti tuttofare di Wonka, la cosa più simile ad una famiglia che il cioccolataio possa avere. Il divertimento che accompagna le entrate in scena di questi personaggi è dato soprattutto dai quattro favolosi numeri musicali da loro interpretati, che seguono con allegra crudeltà le esecuzioni dei bambini visitatori della fabbrica. Le voci canore degli Umpa-Lumpa sono tutte di Danny Elfman, ex cantante rock nei Settanta e oggi miracoloso e apprezzatissimo compositore a tempo pieno per i film di Burton. “La fabbrica di cioccolato” è un capolavoro: straccia il vecchio film del ’71 con Gene Wilder, inspiegabilmente molto amato, rispetta il testo di Dahl, adattandolo ai giorni nostri con intelligenza, gusto della citazione, e con quella dose di crudeltà che deve essere tipica e immancabile in tutte le fiabe classiche che si rispettino.
Articolo del
03/10/2005 -
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