|
Il film per metà è grandioso. Per l’altra metà, però, non riesco davvero a biasimare i critici che lo hanno fischiato a Venezia. Vado con ordine. E’ eccellente sotto il contesto simbolico: costellato di riferimenti, rimandi, simbologie, semplici allusioni, non fornisce – ripeto: almeno da quel versante – un momento di scampo allo spettatore. Dal rettile che vaga per la casa alla poverella – chiodo fisso di Olga-Margherita Buy – che si reincarna nella barbona che le staziona sottocasa (il lato sporco della vita?), passando per la mamma-astrologa fino alla sequenza della porta-bloccata, quando Olga e i bambini sembrano rimanere chiusi in casa. Quindi, di per sé, le parti (anzi: la parte, perché una ce n’è) hanno quel che serve ad un attore per poterci lavorare abbastanza di personalizzazione. Di qui – due più due fa ancora quattro – l’ottima prestazione di Margherita Buy che esalta all’ennesima potenza tutta la frustrazione che ha interpretato nella sua carriera. Toccando momenti davvero di spessore – fra tutte la fase di totale abbandono nella quale rischia di perdere, oltre al cane che s’è avvelenato con l’insetticida, pure il figlio. Irritante, fastidiosa, ti graffia il cuore con quell’inedia senza ritorno. Salvo poi finire lei stessa in breakdown sul letto di un ospedale e, da lì, ripartire verso una tiepida rinascita. Buono pure Zingaretti nel suo ruolo di uomo totalmente inadeguato alla vita, un bambino che infatti corre appresso ad una bambina. Un ruolo che resta comunque pallidissimo rispetto a quello della Buy. L’altra metà per cui non biasimo i fischi, però, sta nel soggetto e nella sceneggiatura – e quindi nel romanzo di Elena Ferrante che non ho letto ma che, mi dicono, il film ha rispettato alla lettera. Sintetizzo rischiando la semplificazione più aberrante: non succede niente. A parte, ovviamente, il viaggio all’inferno più ritorno della protagonista. Troppo poco. “I giorni dell’abbandono” rimane sostanzialmente un eccellente one woman show, nel quale la protagonista porta sul groppone nello stesso tempo il buono e il pessimo della pellicola. Non c’è una svolta narrativa, non esiste intreccio, non esistono personaggi alternativi dignitosi, a parte Zingaretti che pensandoci bene, alla fine, pure la sua parte è briciole, non esiste. I dialoghi – al di là delle sfuriate della Buy con qualche parolaccia in mezzo -, sebbene l’ambientazione sia quella di una famiglia borghese contemporanea, sembrano tirati fuori da Madame Bovary. Anzi: nemmeno Flaubert avrebbe mai scritto una melassa del genere. Ergo: se non amate la Buy, non amate il film. Stop. Goran Bregovic, nella parte del timido Damian, è abbastanza imbarazzante: rigidissimo, sembra stia ogni sequenza in posa per una foto di gruppo ad un matrimonio. Sbiadite anche le interpretazioni dei due figli, che se ben sfruttate avrebbero potuto regalare uno sbocco narrativo in più al film, una uscita d’emergenza laddove la trama si rende – spesso – insopportabilmente a senso unico. Ecco: è semioticamente povera. Non esistono fasi e controfasi: è una lunga onda che da un livello medio scende fino ad un minimo per poi tornare al livello di partenza. Senza curve, picchi, discese repentine. Certo rimane un film che ha il merito di raccontare, spietatamente, quello che accade (ma accade davvero poi, fino a quel punto? Forse si, non lo so) o può accadere ad una donna umiliata e ferita nel profondo, abbandonata da un giorno all’altro, distrutta delle sue certezze. E rimane pure lo stratagemma col quale la protagonista riversa la sua realtà nella traduzione a cui sta lavorando, consegnando all’editore un frammisto di fiction e vita vissuta, mischiando le sue vicende a quelle tradotte. Se l’intento dell’autrice del libro era dare dimostrazione di come gli uomini possano smantellare un’esistenza c’è riuscita. E nel film Faenza c’è riuscito a sua volta. Mica poco, direte. Neanche tanto, però. Al prezzo di aver assottigliato, senza saperle costruire attorno una struttura potente, una vicenda potenzialmente ricchissima e dilapidato una lusinghiera Margherita Buy.
Articolo del
07/10/2005 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|