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Dopo Charlie and the Chocolate Factory – La fabbrica di cioccolato, remake di Willy Wonca, la favola e la magia inimitabile del cinema di Tim Burton ritornano sugli schermi con il coevo Tim Burton’s Corpse Bride, presentato fuori concorso a Venezia 62. L’ultimo film dell’autore californiano, ci riporta indietro nel tempo, a circa tredici anni fa, in zona Nightmare Bifore Christmas, gioiellino in stop motion, codiretto con Mike Johnson con lo stesso impegno gotico - animatore anche di Tim Burton’s Corpse Bride. Il nuovo cartoon sembra infatti incarnare la cifra ideale della sua poetica, quell’universo ultradark, intriso di un’atmosfera nerissima, che più nera non si può! La pellicola autoriale (a chi scrive, pur nella sostanziale diversità stilistica, ha ricordato il contributo al cinema di animazione di autori del calibro di Hayao Miyazaki o di Katsuhiro Otomo) è girata quindi con la stessa tecnica di Nightmare Bifore Christmas: 24 riprese al secondo in stop motion (per la prima volta qui si aggiungono delle fotocamere digitali e un parziale uso di computer graphic) su protagonisti/pupazzi di plastilina, modellati sulle figure di veri attori. Tim Burton’s Corpse Bride rilegge in chiave personale, ossia attraverso la poesia dark e romantica e l’humour nero burtoniano, un’antica fiaba popolare ebraica russa molto realistica (nella russia del XIX sec., molti ebrei, soprattutto donne, venivano uccisi nel giorno delle nozze, per impedire che potessero dare vita a nuove generazioni). Si racconta la storia del giovane Victor (voce e sembianze dell’attore feticcio Jonny Depp, già protagonista dal tempo di Edward mani di forbice a Charlie and the Chocolate Factory), promesso sposo di Victoria (voce di Emily Watson), il quale, mentre attraversa un bosco, alla vigilia delle nozze, ripensando alle prove della formula nuziale, infila l’anello ad un rametto che sbuca nel terreno; in realtà si tratta del dito di una donna zombi (la Sposa cadavere ha la voce e i tratti somatici della compagna di Burton, Helena Bonham-Carter), morta e sepolta con l’abito nuziale perché abbandonata nel giorno delle sue nozze. La Sposa da quel momento si risveglierà e, credendo di aver trovato finalmente l’anima gemella, proclama Victor suo sposo. Con questo inizio si entrerà nel regno dei morti, un tripudio di freaks, di scheletri, di trapassati e di carne putrefatta in plastilina, di ragnatele e di vermi, una paccottiglia macabra e decadente, fantasmagorie uscite dalla visionarietà estrema di Tim Burton. Il cuore nero di tutta la vicenda è la Sposa cadavere, personaggio funereo e romantico, che omaggia il mondo dei morti. In Tim Burton’s Corpse Bride, come quasi tutti i suoi film, la vita si riconcilia con la morte, i due mondi sono collocati allo stesso livello, si contaminano e si compenetrano a vicenda, ma la terra dei morti ci viene presentata più vivace, spassosa e colorata di quella dei vivi, che ci appare invece assai triste e smunta. Romantico e malinconico come solo il regista californiano sa essere, il film alterna sequenze horror e black comedy, musical (le magnifiche musiche sono del fido sir Danny Elfman, che dà voce anche a quattro personaggi tra i quali Mr. Bonejangles) e cartoon, e una serie di citazioni che non appesantiscono mai la narrazione, come la spassosissima sequenza musical improvvisata dagli scheletri, molto “jam-session”, di disneyana memoria (La danza degli scheletri – Skeleton Dance del 1929, musicata da Carl Stalling). Tantissimi i simbolismi e le trovate geniali, in primis gli occhi dolci che si staccano dalle orbite della Sposa al minimo movimento, che incarnano una sintesi di tutta la comicità e la malinconia, mai stucchevole del regista: “È per il mio occhio, vero?” dice la Sposa dopo l’ennesima sua caduta a Victor che non la vuole sposare “No, siamo troppo differenti: tu sei morta” gli risponde…
Articolo del
24/10/2005 -
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