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Roman Polanski
Oliver Twist
2005
Sony Pictures
di
Giovanni Graziani
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Sono un mare gli orfani che, come uno zelante educatore spiega ad Oliver Twist, “servono la loro patria” lavorando a sfilacciare la stoppa che servirà a fare le vele delle navi, fondamento della potenza dell’Impero britannico. In questo oceano di orfani, Oliver è solo la goccia che si aggiunge per ultima, senza fare alcuna differenza. Ma in questo mare, solo lui è destinato ad essere l’eroe della storia. Un po’ come nel “Pianista”, dove era l’ebreo polacco Szpilman ad avere il destino incomprensibile di essere la goccia che si salva, nell’oceano di vittime del grande crimine. È un film sul destino anche questo “Oliver Twist”, in cui Roman Polanski mette il proprio mestiere al servizio di Dickens. La storia del povero orfano che nessuna cattiveria e nessun complotto delle forze del male riescono a fermare nell’avanzata verso il destino glorioso che lo aspetta (il che è un’evidente metafora della dottina protestante della predestinazione dei salvati, come si vede bene nell’ultima scena), viene letta, più che riletta, da Polanski che, quasi come un nonno che mette a letto i nipoti, si lascia prendere dal piacere del racconto; piacere di chi racconta, che si trasmette anche a chi si lascia quasi cullare dal racconto. A Dickens (che, come i cinefili amano ricordare, è stato il riferimento narrativo di Griffith, il regista americano che poi ha fatto da riferimento al resto del mondo) Polanski presta quindi le immagini, il proprio sguardo che legge il racconto e ce lo restituisce in due ore di un cinema dal sapore antico.
Articolo del
03/11/2005 -
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