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Era nel nome di Sophie Scholl che si chiudeva “La Caduta”, il film su Hitler che, fino all’ultimo respiro, trascina la Germania nella distruzione già seminata per tutta l’Europa. In un filmato d’archivio, la segretaria di Hitler, Traudl Junge, confessava di aver capito la propria non innocenza quando, passando davanti alla lapide dedicata ai martiti della Rosa Bianca, aveva scoperto di avere avuto gli stessi vent’anni di Sophie, quando l’una veniva assunta dal Führer, collaborando così al grande crimine del nazismo pur senza macchiarsi di nessuna colpa specifica, e l’altra veniva messa a morte per un volantino in cui incitava i tedeschi a ribellarsi (e a ribellarsi proprio in quanto tedeschi). C’è quindi (non voluto, ma evidente) un passaggio di testimone fra il film su Hitler e quello su una delle sue tante vittime. Una continuità fra i due film che è forte sia nel metodo (ricostruire i fatti così come sono andati, come premessa per poterli giudicare e per capirne il significato oggi) sia nel fatto di essere appoggiati sulle spalle dell’interprete principale: Julia Jentsch nei panni di Sophie non è meno importante (ed è almeno altrettanto brava) di Bruno Ganz-Hitler. Il vertice di questo metodo e di questa interpretazione arriva alla fine del film, quando il regista Rothemund ha voluto ricostruire esattamente, cronometro alla mano, gli otto secondi che i verbali dell’epoca hanno registrato come il tempo necessario all’esecuzione della condanna. In questi otto secondi, Julia Jentsch è straordinaria nel rendere il senso di abbandono al proprio destino di Sophie; un abbandono pieno di tragicità e di serenità, che fa della sua morte un martirio cristiano (lei è fermamente evangelica) ad opera di una mano neo-pagana. Per questa morte, anche l’ultimo saluto al fratello Hans e all’amico Christoph Probst (“fra pochi minuti ci rivederemo nell’eternità”) non suona come un modo di dire consolatorio; ma sembra altrettanto profetico del “presto sarete voi dove oggi siamo noi” che, dal banco degli imputati, Sophie lascia ai suoi giudici, come anticipo dell’ultimo giudizio sul nazismo.
Articolo del
10/11/2005 -
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