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Il castello errante di Howl - Howl’s Moving Castle, nuovo capolavoro del maestro d’animazione Hayao Miyazaki è l’ennesima risposta dall’Oriente. L’attesissima pellicola nipponica giunge in Italia ad un anno di ritardo, benché l’esordio ufficiale sia stato il festival di Venezia 2004, dove finalmente un film d’animazione è stato presentato nel palinsesto del concorso ufficiale. Naturalmente ignorare il papà di Heidi (la famosissima serie televisiva degli anni ’70) e Lupin III sarebbe stato impossibile dopo la conquista di un Orso d’Oro a Berlino e un Oscar come miglior film d’animazione a La città incantata – Spirited Away, senza dimenticarci che quest’anno a Venezia Miyazaki è stato anche insignito del Leone d’oro alla carriera. A prescindere dai pregiudizi (quelli della tradizione occidentale che si è formata sul monopolio stilistico disneyano) che relegano il cinema d’animazione, in un mondo spesso sconosciuto e sottovalutato, sembra che in questi ultimi anni ci sia un inversione di tendenza: i maestri del Sol Levante sono riusciti prepotentemente a tirar fuori dalla ghettizzazione il cinema d’animazione e trascinarlo verso una stagione vincente. Il castello errante di Howl, non solo incanta per la tecnica del disegno, ma anche per la magia e la poesia che definiscono il lungometraggio, conquistando i cuori e le menti di tutte le generazioni, scostandosi totalmente invece da tutte quelle paccottiglie d’animazione di tanto mercato adolescenziale. Infatti, nelle opere internazionali dello studio Ghibli, dove Miyazaki e Takahata sono i due creativi, si è adottata la filosofia che il computer interviene solo lievemente e in alcuni fondali, in modo che i film riescono a conservare l’accuratezza e i dettagli del disegno fatto a mano. “Il dio dell’anime” (soprannome del regista, che ci ricorda anche l’inizio della sua carriera come disegnatore di manga) si è ispirato per questo stupendo e ultimo lavoro uscito dal suo studio Ghibli al romanzo di Diana Wynne Jones. L’apologo si immerge, come di consueto, in un ipotetico paese del nord Europa, perché il regista da sempre rende omaggio ai paesaggi e alle architetture europee (già da Heidi le panoramiche e i dolly sulle montagne sono imprenscidibilmente il suo marchio di fabbrica), all’epoca della rivoluzione industriale, in un atmosfera da Belle Epoque. Racconta la storia di Howl, mago dal bellissimo aspetto, che vive in un castello tecnologico ed errante, che sembra uscito dalla fantasia di Jules Verne. Un mago che si diverte, dopo un abbandono, a collezionare ragazze alle quali “succhia l’anima”, come Sophie, la dolce adolescente cappellaia che si innamorerà di lui, ma un maleficio, di una strega gelosa la trasformerà in una vecchia e grinzosa settantenne. Alla povera Sophie non rimane che introdursi nel castello-meccanico travestita da donna delle pulizie, per vivere accanto ad Howl. Naturalmente la metamorfosi continua del corpo di Sophie che ci accompagna per tutto il film, è una metafora del passaggio dalla giovinezza ad una età più matura. L’arzilla nonnina di Miyazaki non fa che ricordarci il legame profondo che esiste tra la terza età e l’infanzia, in fondo, fa menzione che tutti gli adulti sono ex bambini, ora un pò cresciuti, e forse qualcuno non se lo rammenta più! Come sempre l’autore riflette sulla terza età e sull’infanzia, elaborando in chiave immaginifica la purezza di entrambe, soprattutto attraverso il filo rosso di figure femminili. Miyazaki sa trattare il tema delle donne con rara sensibilità, ha saputo ricreare il punto di vista della differenza/forza femminile, peculiarità che ha evocano sullo schermo la suggestione di parlare dei suoi lungometraggi come di “epoca delle donne”, proprio perché le donne sono le vere protagoniste e punto di forza psicologico dei suoi cartoons. Ritroviamo ne Il castello errante di Howl anche tutti i temi più cari al maestro mutuati dalle altre sue pellicole, mescola così l’ecologia e il rapporto uomo/natura, la modernità e le macchine, il cattivo uso della tecnologia e l’incubo sempre presente della guerra (qui messa in moto da un imprecisato conflitto) generata dalla “stupidità del male” come direbbe Hannah Arendt...
Articolo del
21/11/2005 -
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