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Dopo le difficoltà, soprattutto economiche di Spider, la pellicola che precede A History of Violence, David Cronenberg, regista indipendente, ha deciso di collaborare con Hollywood, realizzando come lui stesso ha dichiarato “il film più costoso della sua carriera, senza problemi e in totale libertà”. Il “barone del sangue” del cinema canadese, tra le personalità di spicco - per originalità, visionarietà, fantasia, stile e capacità di messa in scena - del mondo di celluloide, si è forse adagiato sul morbido cuscinetto hollywoodiano, grazie al lussuoso progetto della New Line Cinema? Atteso al varco A History of Violence sarà abbastanza cronenberghiano o deluderà i bulimici spettatori? Il suo nuovo film potrebbe sembrare infatti a prima vista un’opera minore all’interno del palinsesto della sua filmografia, uno dei lavori meno personali o facilmente condizionato dallo script di John Olson; ma la pellicola si costituisce, come di consueto a partire dallo splendido abituale lavoro fotografico di Peter Suschitzku e ovviamente anche dalla colonna sonora curata dal fido Howard Shore, e per continuare dal lavoro di tutti gli altri collaboratori che si porta con sé da film a film. “Così ho accettato questo film,… perché la New Line aveva la fama di rispettare molto gli autori. Fama meritata… ” dichiara ancora Cronenberg. Fin dai primi lavori Cronenberg ha percorso le strade del doppio, i suoi film sono anelli di una catena del cambiamento del corpo fisico e del corpo sociale (La mosca, 1986) e sull’identità/realtà parallele (Inseparabili 1988, M. Butterfly 1993, Spider 2002, ecc.) portando contemporaneamente la sua analisi dentro il linguaggio cinematografico, rinnovandone forme e contenuti. A History of Violence, obiettivamente conferma il suo lavoro precedente, il lato oscuro di Cronenberg riemerge, facendo saltar fuori in controluce l’anima del doppio. Dentro questa tendenza si iscrive A History of Violence, registrando un ulteriore passo in avanti della sua estetica. E’ attraverso la violenza, anticipata già dal titolo che Cronenberg prosegue la sua analisi psicologica e sociale. Lo sguardo ispirato e rivolto alla storia della graphic novel omonima di John Wagner e illustrata da Vince Locke, non dura a lungo, solo pochi minuti all’inizio del film: un uomo semplice e pacifico Tom Stall/Viggo Mortensen, vive in una tranquilla cittadina insieme a sua moglie (Maria Bello) e due figli. La sua tranquillità si frantuma quando elimina due malviventi pericolosi entrati nel suo bar, diventando così all’improvviso un eroe dei media, proclamandolo cittadino americano modello. Questa notorietà inaspettata genererà altra violenza… Il lavoro di Cronenberg va quindi ancora una volta in una direzione autoriale, la creazione di un personaggio in cui si esaurisce tutta la sua metafisica e entro cui rientra tutto il suo cinema precedente (aggiunge anche scene che non erano presenti nel fumetto di partenza e nella sceneggiatura di Olson, come i due episodi erotici speculari, che rafforzano il cambiamento psicologico fra Viggo Mortensen e Maria Bello nel corso della storia). A History of Violence non è la solita impaginazione della novella, anche se è legittimo temere per la versione filmata, infatti esisteva il pericolo di banalizzare il concetto di violenza. Ma è pur vero che siamo di fronte al cinema di Cronenberg, un regista che si è sempre distinto per un suo stile. Cronenberg ha azzecato tutto, perfino i ruoli dei due portatori di violenza, i due cameo: Ed Harris e William Hurt, usati splendidamente fino in fondo. A History of Violence è un magnifico tassello della poetica cronenberghiana, che ci dona una riflessione acuta sulla violenza che ci circonda, di cui noi stessi siamo spesso i primi generatori.
Articolo del
29/12/2005 -
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