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“Match point” è una maledettissima e spietata bomba ad orologeria. Oliata, perfetta ed incalzante. Un ordigno che entri in sala ed esplode dilaniandoti appena t’alzi dalla poltrona. Dura più di due ore – l’ultimo del maestro Woody, che gira più che altro dalle parti di “Crimini e misfatti” piuttosto che delle ultime Melinde - ma lo sguardo riesci a staccarlo dal grande schermo non meno che a tre quarti d’ora dall’inizio. Perché mette in scena l’essenza dell’esistenza umana: la Fortuna. Intesa non tanto, classicamente, come Fato ma – letteralmente - come arbitrarietà dei fatti: come la palla da tennis che, colpito il nastro, ti fa palpitare rimanendo sospesa a mezz’aria per poi decidere senza motivo di andare a cadere da una parte del campo piuttosto che dall’altra. Segnando irrimediabilmente gioco, set e match. Match point, appunto. Quelli che non mette più a segno da tempo l’ex campioncino Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyer, un iceberg fatto uomo), irlandese che legge Dostoevskij riciclatosi maestro di tennis in un esclusivo club londinese. Qui si imbatte in Tom (Matthew Goode), smargiasso rampollo di una famiglia upper class e assiduo frequentatore del circolo, del quale Chris diventa un po’ amico, un po’ ”damo” di compagnia in un certo senso. Tom lo introduce al giro dell’alta business class britannica, oltre che alla sua famiglia e in particolare alla sorella Chloe (una irritantissima ma, a suo modo, affascinante Emily Mortimer). Il tennistucolo di povera famiglia viene travolto da quello scintillante e stilosissimo ambiente. Che, pian piano, sempre più intensamente, lo fagocita: le serate a teatro, i week-end nella tenuta di campagna, gli acquisti nei negozi più esclusivi. La frittata è fatta: Chris si lega a Chloe ed entra dalla porta principale in una delle tante aziende di quello che di lì a poco sarà il suocero. Da ex tennista a businnesman di primo piano. Mica poco. E la scalata continua. Non fosse che, tempo addietro, agli inizi del rapporto d’amicizia con Tom, Chris aveva provato la vera Passione. Proprio con la ex fidanzata di Tom, Nora, una Scarlett Johansson che è l’attrice più bella e sensuale del mondo e questo vi basti e avanzi e che nel film interpreta proprio un’attricetta sconvolgente e maledetta. Toglie il repiro, davvero. La incontra nuovamente dopo qualche mese, e fra loro nasce una relazione tanto forte quanto devastante. E nasce anche un paradosso che più pirandelliano non si può: mentre Chloe, la moglie, non riesce a rimanere in cinta, Chris scopre che l’amante Nora aspetta un bambino e che non abortirà per nessuna ragione al mondo. Nora lo pressa a confessarsi, a rivelare la storia alla moglie. Lo perseguita, lo minaccia. Chris entra in crisi, non riesce a sbrogliare la situazione. Rischia di perdere tutto quel che – quasi in un eccesso di serendipità – si è ritrovato attorno negli ultimi anni. Capisce che non può assolutamente vivere in altro modo se non in quello al quale si è abituato negli ultimi tempi. Qui c’è lo snodo del film: da commedia “Match point” vira terribilmente in dramma. Chris si trasforma, novello Jeckyll: architetta il delitto perfetto, fa fuori Nora (in cinta) e una vicina di casa inscenando una rapina per droga. E finendo col farla franca. Grazie a nient’altro che la Fortuna, un orecchino che invece di cadere di là è rimasto di qua da un parapetto (come la pallina gialla del tennis) e le regole di un mondo spietato. Chris cambia volto, per lo spettatore, e impaurisce: non te lo aspetti, che Allen possa tramutarlo in uno che gira col fucile a canne mozze infilato nella borsa delle racchette. Eppure questa pellicola patinatissima – ma di una levigatezza intelligente, arguta e stimolante – è una di quelle che in realtà non racconta alcunché: acchiappa un Tema ricorrente della Narrativa, dell’Arte cinematografica, della Vita umana. E gli dà un senso, una visione personale, un timbro che – qui sta la novità – certo è quello di Woody Allen. Ma di un Allen che ha avuto il coraggio di rimestare le sue carte facendo fuori (dal video) nientemeno che sé stesso e riconsiderando la sua scrittura che – pur rimanendo di quell’assoluto impasto paradossal-melassoide di enorme qualità che tanto amano i suoi aficionados – riesce a farsi se possibile ancor più cinica, più sanguigna, più profonda. “Match point” è un film che graffia profondamente, ecco: sembra che parli di universi lontani, da chi prende la metro ogni giorno. Invece mette a nudo il mammifero uomo. Se poi aggiungete che lo fa alternando sapientemente accelerazioni e rallentamenti, soste e ripartente scatenate, sequenze che tagliano la voce dalla gola allora capite cosa significhi essere un Maestro del cinema. Un gioiello.
Articolo del
24/01/2006 -
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