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Sergio Rubini è senza dubbio uno dei cineasti – si, si: cineasti – più emotivamente potenti del panorama europeo. “La Terra”, fosse stato necessario, torna a sottolineare quell’amore smisurato che il regista barese coltiva per la sua, di terra. La Puglia. Ma è un film assai più intenso: potente, appunto. Peccato non esista un’unità di misura per valutare il tasso di potenza di un film. Ad ogni modo, bastino alcuni, fondamentali elementi. La straordinaria fotografia, con quei campi lunghi di terra bruciata dal sole e di acqua misteriosa, che da sempre è segno distintivo di Rubini: i colori straziano e ammaliano l’occhio come t’arrivassero addosso secchiate di vernice. Ancora: la trasversalità ammiccante e certosina che fa de “La Terra” un noir semiserio dalle fortissime tinte drammatiche. Molti film nel film. Infine: il modo di trovare la parte giusta per il giusto attore. Fabrizio Bentivoglio, che interpreta l’alienato professore di filosofia ormai milanese d’adozione che torna a Mesagne, Brindisi, convinto di dover sistemare qualche pratica, è superbo. Credibile e sanguigno. Fabrizio Briguglia, Massimo Venturiello ed Emilio Solfrizzi, ognuno a suo modo esilarante, così diversi e però così complementari, interpretano invece i tre fratelli che Luigi ritrova in quel paesetto dimenticato da Dio e dallo Stato, ciascuno ormai immerso nella Vita in un modo tutto suo, troppo distante da quello degli altri. Lo snodo della storia sta in un appezzamento ed una masseria: tre fratelli, Luigi compreso, sono disposti a venderla. Anche per saldare i debiti che il fratello Solfrizzi, maldestro politicante, ha contratto negli anni col signorotto del paese, Tonino, un orribile Sergio Rubini, mefistofelico e deformato dal trucco. Che interviene nel film e quasi ne senti il fiato sul collo, quando biascica. L’altro fratello, Venturiello, vera maschera popolare nel volto e nel sudore, non ci pensa nemmeno, a vendere: lui ci lavora e sputa sangue, su quella terra, da sempre. Ovviamente, per vendere tutti devono essere d’accordo – così ha deciso il padre dei quattro. E così, per Luigi, quella che doveva essere una breve trasferta di un fine settimana diventa una sorta di seconda nascita paesana, una resurrezione. Costretto suo malgrado – ma quanto suo malgrado, poi? – ad allungare il soggiorno, subirà una sorta di immersione ancestrale nelle sue calde origini – dalle quali, lo scopriamo all’inizio con una magnifica sequenza serratissima tutta girata in dettaglio a cavallo dei titoli di testa, era stato costretto a fuggire precocemente -, rimanendone, almeno fino ad un certo punto, totalmente travolto. Solo una sensualissima e diafana Claudia Gerini riuscirà, almeno finché non rimarrà anch’ella travolta dalle alchimie innescate, a recuperarlo. Come in altre sue opere (“L’amore Ritorna”, “Anima Gemella”) Rubini mette assieme elemento magico ed antropologico: studia l’uomo, e le sue pulsioni più nascoste, attraverso un uso spietato di un acre simbolismo (vedi la sequenza della processione in cui viene ucciso Tonino) che però riesce sempre a legare efficacemente all’ecologia della narrazione. “La Terra” non può deludere: chi cerchi l’artista, troverà luce per gli occhi. Chi cerchi più propriamente il plot, la trama, troverà intrecci freschi per i suoi gangli mentali. Chi cerchi Rubini, perché ama un autore onesto e di forte impatto che non manca l’appuntamento con la sua audience, metterà assieme i primi due elementi godendo fortissimamente.
Articolo del
03/03/2006 -
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