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Articolo 179 codice penale: La riabilitazione è conceduta quando siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.
Arrivederci amore, ciao, è il secondo adattamento cinematografico di un romanzo di Massimo Carlotto - dopo Il fuggiasco ad opera di Andrea Manni -, uno dei maggior rappresentanti del romanzo noir della letteratura italiana. L’ex esule Carlotto (nel 1976 Carlotto è stato vittima di un caso giudiziario: trovandosi sulla scena dove era avvenuto un omicidio brutale di una studentessa, il giovane fu accusato del delitto, forse anche per la sua militanza politica. Dopo anni di carcere, la successiva fuga e la latitanza in Francia, Spagna e Messico, sarà graziato dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) è, ora, omaggiato niente popò di meno che dall’erede, invece, del cinema di genere italiano, l’ex allievo di Dario Argento: Michele Soavi. Dopo dodici anni da Dellamorte Dellamore, Soavi ritorna sul grande schermo e riesce ancora a sorprenderci, guadagnando qualcosa, uno scarto in più rispetto ai suoi lavori precedenti, soprattutto quelli televisivi e quindi trasposti su un parterre casalingo. Lo stile e l’approccio al testo di Carlotto del filmaker è quello inconfondibile del noir sporco e cattivo, in cui non esistono personaggi positivi, ma solo squali che si divorano l’uno con l’altro. Giorgio Pellegrini/Alessio Boni è la “carogna” – come scrive lo stesso Carlotto - protagonista, che ha un solo scopo nella sua vita, lasciarsi alle spalle un passato di attivismo e terrorismo politico di sinistra e una storia di guerrigliero in America Latina dopo essere scappato dall’Italia per aver ucciso un uomo. Accantonando gli ideali politici in cui non ha mai creduto ciecamente, Giorgio ritorna in Italia e, appigliandosi alla legge sui pentiti per scappare alla giustizia si costruirà un ruolo sociale rispettabile nel mondo dei vincenti a ogni costo e con ogni mezzo. Raccontando gli anni ’80 dell’Italia nera del ricco Nord-est, l’autore impagina - non nel senso negativo del termine - le esperienze di Carlotto fatte in carcere, nel mondo criminale e nelle istituzioni, descritte nel libro omonimo; così Soavi utilizza i temi scottanti, alla stessa maniera di come facevano i film gialli e poliziotteschi negli anni ’70, che proponevano denuncia sociale e allo stesso tempo intrattenevano. Un attacco diretto e lucidissimo alla giustizia (vedasi la caratterizzazione epidermica della figura di Anedda, il poliziotto corrotto interpretato da uno straordinario Michele Placido) e alle istituzioni, portato avanti fino alle estreme conseguenze e spesso attraversato da un’estetica che ci ricorda la provenienza di Soavi: il territorio raccapricciante e ricco di particolari gore dell’horror. Naturalmente, Soavi condensa alcune pagine del romanzo, addirittura il suo Pellegrini ci appare qualche volta più umano di quello della penna di Carlotto. Il regista, vale a dire, inverte alcune cattive azioni e fa sì che è Anedda che compie certe nefandezze nel film e non il Pellegrini come avviene nel libro. Allo stesso tempo, Soavi conferma l’essenza del romanzo, perché nei momenti clou della storia, diventa un testo concreto, che non è eliminato dall’adattamento cinematografico. Le parole scritte da Carlotto sono pronunciate tali e quali dai personaggi (vedasi l’ultimo dialogo del Pellegrini con Flora/Isabella Ferrari, l’unica donna che gli tiene testa: “Ecco i venti milioni. Ci sono tutti. Finalmente possiamo dirci addio” dice Flora, e Pellegrini balbetta: “Flora…”; e ancora Flora: “Flora un cazzo. Adesso vattene dalla mia vita”.). Non solo, quindi, lo stile di Carlotto entra in dialettica con quello di Soavi, ma specularmene anche i due diversi linguaggi, quello letterario e quello cinematografico. Questo confronto/scontro è una dichiarazione d’intenti, ci avvisa di come dovrebbero essere gli adattamenti cinematografici, non solo psicologie e situazioni cui attingere da bei romanzi, ma ci vuole anche qualcos’altro!
Articolo del
17/03/2006 -
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