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La Speranza ha due bellissimi figli: lo Sdegno e il Coraggio. La citazione di Pablo, narratore-protagonista del corto realizzato da Ken Loach, sintetizza a posteriori la genesi e l’essenza del progetto 11’09’’01, un film collettivo che ha inteso essere non solo memoria di avvenimenti tragici ma anche spunto di riflessione universale. Undici cortometraggi di 11 minuti, 9 secondi e un fermo immagine ciascuno, specchio delle opinioni - o più semplicemente delle emozioni - di altrettanti grandi registi, di ogni parte del mondo, sull’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Presentato in Selezione ufficiale alla 59° Mostra di Venezia, il film ideato da Alain Brigand è decisamente bello, al di là delle polemiche e delle accuse sbandierate di antiamericanismo. I rari accenni retorici o didascalici (come nel caso del contributo dell’egiziano Youssef Chaine) risultano dissonanti rispetto ad un contesto in cui realismo, poesia, memoria storica e sperimentazione si fondono, riuscendo a trasporre la cronaca in una dimensione epica e simbolica (l’uomo serpente del giapponese Shoei Imamura, la coppia in crisi del francese Claude Lelouch, il dolore e le lacerazioni politiche come segno universale del nostro tempo nel contributo dell’inglese Ken Loach, i fiori simbolo di rinascita dello statunitense Sean Penn,…). I suoni, più di ogni altro elemento, raccontano il film: silenzi, ballate malinconiche, miscugli di rumori, voci delle vittime, voci di bambini, ossessivi frastuoni quotidiani. Le immagini evitano, per lo più, qualsiasi riferimento diretto a quegli accadimenti sin troppo mediaticamente esposti; solo il messicano Alejandro Gonzalez Inarritu indugia su particolari drammatici, visivi e sonori, ma senza scadere nel sadismo tipico della televisione e con risultati comunque apprezzabili. Un progetto, insomma, che soddisfa a diversi livelli: sia come prodotto prettamente cinematografico sia come strumento di pensiero in un panorama di generale appiattimento culturale. In quest’ultimo senso, merito del film è di offrire una prospettiva diversa sui fatti di New York da quella ufficiale, paranoica e a tratti persino grottesca. Scrive Sandro Veronesi (da un suo libro è nelle sale La forza del passato, di Piergiorgio Gay) - nella prefazione al libro denuncia L’incredibile menzogna di un altro francese, Thierry Meyssan - “è come se ogni americano, da quel giorno, avesse ricevuto in mondovisione l’autorizzazione a essere paranoico”: gli undici corti di questo film ci allontanano da quella paranoia, restituendoci però intatto il senso di svolta, o di accelerazione storica, che quegli eventi hanno rappresentato per l’umanità intera. Dispiace non aver visto un contributo italiano, restando la curiosità per il progetto presentato da Giuseppe Tornatore, intenzionato a rendere omaggio alle vittime attraverso una sequenza di loro immagini fotografiche e bloccato, pare, per motivi burocratici. Il cast di registi, comunque, è apparso all’altezza del coraggioso progetto, con personaggi – oltre a quelli già menzionati – come Amos Gitai, Samira Mackhmalbaf, Danis Tanovic, Idrissa Ouedraogo, Mira Nair. Pochi euro spesi bene, insomma, quelli investiti per questo film, anche perché i proventi andranno a finanziare i progetti dell’organizzazione non governativa Handicap International. Al rumore di fondo della TV - con i telegiornali, gli speciali, le interviste esclusive, le dirette, le commemorazioni ufficiali, le opinioni tutte drammaticamente uguali - vale la pena preferire, per appena un’ora e mezza, immagini e suoni all’insegna – come sottolineato nel prologo del film - di una totale libertà di espressione.
Articolo del
23/10/2002 -
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