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Sette anni dopo il kolossal Giovanna d’Arco, e dopo aver prodotto e distribuito un infinità di film con la sua EuropaCorp, una vera e propria major, Luc Besson torna al cinema. La sua volontà di sperimentare lo porta ad affrontare in continuazione nuove sfide, abbandona così – almeno per un po’, visto che tra qualche mese uscirà in 3D con un budget inaudito per l’Europa Arthur e il popolo dei Minimei – gli effetti speciali e le grosse produzioni, tornando a concentrarsi sulla sua figura di autore, scegliendo un percorso minimale che ci ricorda molto Le dernier combat – Subway, il suo primo appuntamento dietro la macchina da presa: piccolo budget, niente star, girato in poche settimane con una troupe ridotta e utilizzo del bianco e nero. Una favola d’amore raccontata in modo di sogno, quello dell’incontro tra Jamel/Jamel Debbouze, un extracomunitario algerino pieno di debiti, inseguito dagli strozzini e Angel-A/Rie Rasmussen (do you remember la top model in Femme Fatale di Brian De Palma?), un angelo caduto sui ponti di Parigi, con tanto di minigonne perdifiato che le mettono in risalto le kilometriche gambe. Un personaggio un po’ particolare, che stravolge il ruolo dell’angelo nel nostro immaginario, un soggetto con le ali che fa anche a botte e si prostituisce per salvare Jamel dagli aguzzini ma soprattutto da se stesso: lo salva dal suicidio e gli fa ritrovare la fiducia in sé. Angel-a è l’ennesimo personaggio androgino che va ad aggiungersi alla galleria di ritratti femminili che attraversano la filmografia di Besson, donne che rompono con le gerarchie binarie (vedasi il modello dell’uomo macho e della donna che piange) che la nostra cultura occidentale ci ha tramandato. Rie Rassmussen di Angel-A sta alla Anne Parillaud di Nikita, come la Natalie Portman di Leon sta alla Milla Jovovich de Il quinto elemento o di Giovanna d’Arco. “Avevo voglia di giocare sugli opposti...” ci dice Besson in una recente intervista. Ecco allora spiegato dallo stesso regista la scelta stilistica dell’uso del bianco e nero: i colori epidermici dei due protagonisti, lei bella e bionda danese e lui scuro e fisicamente menomato, e ancora l’altezza di lei e la bassa statura di Jamel. Tutto il film ci parla degli opposti, attraverso registri stilistici diversi come la tragedia e la commedia, o con l’uso di colori diametralmente opposti come il bianco e il nero del profilmico, perfino i contenuti che ci raccontano della vita e della morte ci ricordano continuamente che non si è mai tutti neri o tutti bianchi, ma proprio le differenze così eclatanti mettono in risalto caratteristiche che ci accomunano. Lo scenario è sempre la Parigi in bianco/nero degli esordi, ma non quella della città spettrale post-nucleare, abitata da individui e bande di disperati violenti de Le dernier combat – Subway, l’autore sembra invece interessato alla Parigi romantica e da cartolina, quella della Rive Droite e della Rive Gauche legate tra loro dai bellissimi ponti che Jamel e Angela percorrono in un incessante ipnotico vagabondare, immortalato dalla magnifica fotografia di Thierry Arbogast.
Articolo del
31/03/2006 -
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