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Dopo il controverso Ararat - ricostruzione del genocidio del popolo armeno - Atom Egoyan, canadese d’origine armena, si addentra su un terreno a lui noto come quello del thriller, firmando la nuova pellicola False verità, presentata in concorso a Cannes 2005. Where the Truth Lies, titolo originale del film, è anche il titolo del romanzo noir di Rupert Holmes da cui il film è stato ispirato. Ma non aspettatevi il classico film di genere, perché sotto l’epidermide del thriller, il cervellotico regista filtra altro. Egoyan, è già avvezzo a trasformare le strutture drammaturgiche dei generi (reminder: Il viaggio di Felicia, thriller dai mille risvolti psicanalitici) per riflettere sull’ambiguità del reale. Lanny Morris/Kevin Bacon e Vince Collins/Colin Firth (qualcuno ha notato una somiglianza con la storia di Jerry Lewis e Dean Martin, che dopo anni di successi si separarono bruscamente), una delle coppie comiche televisive più note degli anni ’50, vengono coinvolti nell’assassinio di una ragazza trovata morta nel bagno della loro suite d’hotel, mentre erano impegnati in una maratona telethon per raccogliere fondi per la poliomielite. Escono indenni dall’indagine chiusa in fretta e furia, ma lo scandalo è la fine improvvisa del loro sodalizio artistico, proprio all’apice del successo. Quindici anni dopo, negli anni ’70, una giovane rampante reporter (Alison Lohman) indaga dietro le quinte della vita del duo televisivo, dapprima con gli occhi di un’ammiratrice (da giovane era stata poliomielitica e aveva partecipato al famoso telethon, scambiado per bontà l’emozione e le lacrime che Lenny non era riuscito a trattenere durante lo spettacolo), poi come testimone oculare dei fatti, scoperchiando i segreti e gli orrori dei due entertainers: piaceri sessuali, anzi omosessuali e droghe. False verità non è solo l’ennesimo film che diventa un pretesto di riflessione su come la celebrità hollywoodiana possa corrompere e divorare. Egoyan crea anche un’indimenticabile struttura a flashback (il passato rimosso che riemerge nel presente) in cui tutto è “altro”. Alison scoprirà non solo la verità degli altri, ma anche su se stessa (vedi la scena cruciale di un Alice persa nei piaceri saffici e nel mondo delle droghe). Un gioco di scatole cinesi messe in scena nel corso del film, che fa scattare un cortocircuito, aprendo una riflessione sull’ambiguità dell’immagine cinematografica. La stessa recitazione enfatizzata di Alison sembra suggerirci tutto questo. Il film ha altresì il pregio di ricostruire sapientemente il gusto non solo musicale di quegli anni (gli score di Mychael Danna) ma anche il décor luccicante degli anni ’50 e le geometrie degli anni ’70.
Articolo del
24/04/2006 -
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