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Dopo quattro anni dal successo di Viaggio a Kandahar, Mohsen Makhmalbaf, capofila della migliore tradizione cinematografica iraniana insieme ad Abbas Kiarostami, si rimette in gioco con Sesso e filosofia. Accantona il filone mainstream della filmografia del Medio Oriente, il cinema di denuncia sociale e di critica politica legati ai problemi di questi paesi, messo spesso in cortocircuito e filtrato da un occhio occidentale per ripiegare su una struttura drammaturgia didascalica - a volte veramente insopportabile - incentrata sul tema dell’amore. I risultati sono inferiori rispetto al passato. Sesso e filosofia è una summa del peggio del cinema dell’autore che non apporta nulla di realmente nuovo alla sua filmografia. Questo per dire che la pellicola non mantiene quello che il titolo promette. È un film che scarseggia in fatto di sesso ed eccede con la filosofia. Una filosofia che si interroga sui “frammenti di un discorso amoroso” nella società contemporanea, con pensieri sostanzialmente ovvi che si sgretolano sin dall’inizio. La tesi amorosa da dimostrare segna la fragilità di tutta l’opera che si perde nei sentieri del luogo comune senza riuscire a dargli consistenza, disseminando qua e là solo deboli accenni da bignamino filosofico (vedasi per esempio “faccio l’amore dunque esisto”). Makhmalbaf ci invita di nuovo a un viaggio, come ha già fatto con Viaggio a Kandahar, ma questa volta dentro i sentimenti, sempre sospeso in una zona di transito a cavallo fra la realtà e la fiaba. Il film, seguendo un andamento circolare, inizia e finisce programmaticamente con la stessa inquadratura, visivamente suggestiva, di John, un maestro di danza a bordo della sua auto illuminata da cinquanta candeline sul cruscotto, in compagnia di due musicisti di strada, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno. Un gioco stilistico estetizzante, a un passo dal calligrafismo puro e semplice, fin troppo curato e maniacalmente studiato nel suo offrire in pasto allo spettatore un’idea di cinema già chiara sia a livello tematico che strutturale, fin dal suo incipit. Dinanzi a Sesso e filosofia viene in mente un dubbio sulla creazione artistica di Makhmalbaf: il filmaker, dopo una carriera sfolgorante (amatissimo dal pubblico e dalla critica internazionale) e la creazione di una factory, è forse approdato a una fase che mostra tutti i limiti di una pratica stantia? La chiave del film sta tutta in una messa in scena ricca di metafore facili ma efficacissime da un punto di vista maschile. “Ho deciso di compiere un atto di ribellione contro me stesso” dice John il giorno del suo cinquantesimo compleanno, occasione per telefonare alle sue quattro amanti e dargli un appuntamento nella sua scuola di danza e con cronometro alla mano le invita a misurare i momenti felici della loro vita. Escamotage narrativo per ripercorrere con ciascuna di loro attraverso il flash back la vivisezione delle diverse fasi dell’amore: l’incontro, la passione, la nostalgia, la perdita, la gelosia, illustrate alla maniera di un pamphlet filosofico. “Ognuno di voi mi ha svelato una parte del mistero”: è evidente che le quattro donne si completano a vicenda e rappresentano per John un’unica amante. La fotografia dominata da un rosso acceso evoca il leitmotiv del film attraverso alcune figure archetipe: la rosa rossa portata da Mariam come simbolo della sua passione, il vino rosso preferito da Malohat, le pareti rosse della palestra, ecc. La Storia emerge non attraverso climax drammatici, ma proprio da questi dettagli messi in scena con ritmo lento da una danza colletiva. L’amore, secondo il regista iraniano, non esiste, è una momentanea passione che nasce da eventi fortuiti, voluti dal caso. In sintesi, l’amore nella società contemporanea è impossibile, “la storia di Romeo e Giulietta appartiene al passato, non possiamo più ispirarci a quella storia”. Questi sono i cardini sui quali Makhmalbaf/John fa girare la storia di un film dall’incerto statuto di saggio con un finale coup de théatre che non evita una certa retorica. Ora è la donna che specularmente ha John, compie un atto di ribellione con se stessa e fa incontrare i suoi quattro amanti. Ma in un ambiente di marca patriarcale come quello della società mussulmana, la donna non poteva che essere insultata da uno dei suoi amanti all’oscuro di tutto… Troppe cose non funzionano e, conoscendo Makhmalbaf, una domanda ci sorge spontanea: non ci si aspetterebbe di più?
Articolo del
30/04/2006 -
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