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“Romance & Cigarettes” – diceva il matusalemmico (e mitico!) Rondi, l’altra sera, da Marzullo, non ricordo in quale trasmissione visto che sono tutte uguali – “è un musical per la classe operaia”. Ed io, non senza autoaccusarmi di superbia ed effettuando un inchino dirimpetto allo schermo: “Caro Gianluigi: sulla classe operaia”. Ad ogni modo, la classe operaia – quella volgarotta, cicciona, allucinata ma tanto tenera – c’entra. S’è capito. E lo scintillante e sgangherato musical di John Turturro, al terzo lavoro, ne è al contempo tripudio, parodia e celebrazione. Grazie ad un cast della madonna, che lavora davvero con passione: un enorme James Gandolfini nella parte di un operaio (Nick) che perde la testa per la ninfomane amante Tula (una irriconoscibile, in senso buono, Kate Winslet), precipitando così il proprio matrimonio con Kitty (Susan Sarandon) – del quale sono frutto tre sciagurate figlie indie-rockers – in piena crisi ed avviando un' esilarante convivenza da separati in casa. Ogni snodo fondamentale – come canone impone, anche se in verità questo film non è musical in senso stretto e dopo vi dico perché – è marcato da coreografie suburbane esilaranti, balletti e riadattamenti mozzafiato. La colonna portante è “Piece of My Heart”, indimenticabile masterpiece della Joplin. Ma dentro finiscono cose assurde e fantastiche come “A Man Without Love”, la versione americana di “Quando M’Innamoro” di Anna Identici, il Boss di “Red Headed Woman” (è Tula, ovviamente, la roscia), “It’s a Man’s Man’s Man’s World”, il Tom Jones “Delilah” e molti altri monumenti pop. In una fenomenologia della crisi di coppia che attraversa tutte le tappe tipiche del contesto (confidenze con l’amico, in questo caso l’enigmatico Steve Buscemi/sfrenate giornate di sesso con l’amante/tentativi di recupero del matrimonio/inevitabile ritorno al nido) non credo, però, che Turturro abbia voluto insistere più di tanto nel musical, come genere. Voglio dire: secondo me non voleva fare un vero musical. Piuttosto ha preferito tagliare a fette – con l’aiuto del turpiloquio così spinto da finire con l’essere innocuo – tante piccole fasi della vita di coppia (di un certo tipo di coppia, ovviamente), ivi compresa quella sessuale, estraendone – attraverso la tecnica del pastiche grottesco accompagnato e rinforzato dall’aspetto coreografico e musicale – il lato serio e riflessivo che le stesse serbano. Il mood è così trash da sfondare il cerchio e sbucare dalla parte opposta: una trattazione in forma scanzonata ma maledettamente melanconica della frustrazione, dello stress, del lavoro, dei sogni, delle aspettative di certa gente. Quella che da noi affolla gli autobus e parte la mattina alle 5 per lavorare e che, nel film, sale sui ponteggi ad avvitare bulloni. I Coen-produttori dietro si sentono – scommetto che il fantastico Christopher Walken versione-Elvis che assiste la cugina Kitty nella ricerca di Tula l’hanno voluto loro -, soprattutto nell’allucinatorietà e l’icasticità della sceneggiatura, che taglia di netto i più scontati canoni del buonsenso borghese. Forse l’impianto complessivo risente un po’ dell'assenza di un centro unitario, compattatore, che latita. E ne rimane una serie di episodi, a scapito della linearità. Ma al netto sono più i punti forti che quelli deboli: la fotografia è eccellente, l’interpretazione appassionata, il finale – con la morte di Nick, stroncato dal fumo delle sigarette – ci conferma ancora una volta che più che un musical, sotto alle risate (non eccessive poi), ai sorrisi (tantissimi), e ai dialoghi saporiti Turturro ha saputo iniettare un dramma. Universale. E lo ha fatto parlandoci e mostrandoci altro.
Articolo del
08/05/2006 -
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