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Sarebbe praticamente impossibile effettuare un sondaggio su quali siano le principali linee ricorrenti nel cinema targato Steven Soderberg. Elencare un filo conduttore in tutte le sue opere sarebbe praticamente difficile. L’autore è da sempre avvezzo sia con la marginalità off-Hollywood e sia con i lustrini di marca in-Hollywood. Il suo nuovo film è la conferma di questo altanelante dualismo, perché sicuramente "Bubble" rientra negli esperimenti (fa parte di un progetto molto interessante che prevede la realizzazione di sei film girati in digitale) vistosamente low-budget: girato in digitale, con una troupe ridotta all’osso, con zero star, ovvero attori non professionisti reclutati durante le riprese nell’Ohio. Un esperimento a basso costo anche per le roboanti modalità distributive, negli Usa il film è uscito contemporaneamente al cinema, sulla pay tv e in Dvd (una modalità che ricorda il nostro coevo "H2 Odio" di Alex Infascelli, uscito in edicola come Dvd, poi arriverà alla pay tv e solo più tardi, sarà, forse, prevista anche la sala). Naturalmente il film in USA è stato boicottato dagli esercenti e passato solo in pochissime sale, ma sulle altre due piattaforme ha avuto un successo strepitoso. Storie di bambole e operai per Bubble, viaggio nell’orrore della provincia americana più apatica e assonnata, la provincia come stato d’animo e condizione esistenziale più che luogo fisico e geografico. Nell’Ohio, una cittadina del disagiato Midwest, in una fabbrica di bambole lavorano Kyle, giovane ventenne, carino ma intontito dagli psicofarmaci, e Martha, una donna obesa, molto più grande di lui, con a carico un padre malato. La loro amicizia sarà messa in pericolo e poi spezzata dall’arrivo di una nuova operaia, molto opportunista, Rose una ragazza madre divorziata, che mostra interesse, ricambiata per Kyle. Da questo rapporto quasi perverso formato da Kyle, Martha e Rose descritto con efficacia realistica si parte per sfociare nelle allegorie grottesche, con risultati alterni. La pellicola ha una sceneggiatura piuttosto convenzionale, se si eccettuano alcune sorprese che rendono dinamica la storia (i due piccoli furti e l’omicidio), comunque, viene riscattata dall’ottima regia del solito Soderbergh (l’autore si accolla sotto pseudonimo anche il montaggio e la fotografia), che mette a nudo la fallacia della società americana, che sconvolge per la sua indifferenza anche di fronte all’epilogo tragico dell’assassinio. L’esperimento in digitale HD, permea lo schermo di colori acidi, da un arancio violento a un viola iperlivido, flessibile senza problemi ad un plot di desolante e trita quotidianità, il cui realismo è reso ancora più credibile e amplificato dagli attori non professionisti alle loro prime esperienze cinematografiche e abitanti della depressa cittadina dell’Ohio. La firma di Robert Pollard, ex dei mitici Guided By Voices, come autore della colonna sonora, non fa che aumentare il senso di agghiacciante straniamento e solitudine della storia. Delude l’approfondimento psicologico dei personaggi, che fornirebbe qualche appiglio per la comprensione dei caratteri.
Articolo del
31/05/2006 -
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