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Il figlio del Diavolo – o Satana medesimo, incarnatosi in qualche corpo? Suvvia, chissene – è arrivato. Si chiama Damien Thorn (Seamus Davey-Fitzpatrick) e all’anagrafe è il figlio del giovane ambasciatore statunitense nel Regno Unito, Robert Thorn. Ma Damien non è Damien. Il giorno della sua nascita – ovviamente le sei del mattino del sesto giorno del sesto mese, in un ospedale di Roma che avrebbe poi puntualmente preso fuoco – il vero figlio del diplomatico, dato per morto, è stato sostituito con un altro neonato: il baby-mefistofele, appunto. All’insaputa della rotonda mamma Kate (Julia Stiles, “Save The Last Dance”), che certo non avrebbe sopportato l’ennesima tragedia dopo due aborti spontanei. Ci mancava solo la riedizione di un cult del 1976 – con Gregory Peck e il clima innescato dall’Esorcista a fare da contorno – a scavare, sempre e comunque, nell’unica trama che – santissimo Propp! – regge gli urti del tempo: la lotta del il Bene contro il Male. “Omen – Il Presagio” è il remake del primo capitolo della trilogia che presumibilmente continuerà con gli altri due capitoli “La Maledizione di Damien” e “Conflitto Finale” – originariamente usciti nel 1978 e nel 1981, senza contare un’ulteriore versione datata 1991 per il piccolo schermo. Niente di nuovo per i nostri esausti bulbi oculari: dopo “Rosemary’s Baby”, così fenomenale nel suo nitore horror, per uno come me dovrebbe scendere davvero il diavolo in coda e forcone a strapparmi qualcosa di buono su un film del genere. Che peraltro si giova di almeno un paio di ottime interpretazioni. Divina (come si diceva un tempo), anzi, diabolica e maledettamente plastificata è la diafana Rosemary Mia Farrow: interpreta la bambinaia adepta del diavolo che fa di tutto per proteggere Damien nel suo training infantile da giovane bicornuto. Assieme a lei, a fronte di un deludente Liev Schreiber (ricordate? Quello che ha da poco esordito alla regia col bellissimo “Ogni Cosa è Illuminata”: sembra un manichino) spicca il prete “che sa”, Padre Brennan (Pete Postlethwaite). Il quale cerca, riuscendoci, di convincere il diplomatico su quale sia la vera natura del figlio. E sulla necessità di eliminarlo. Il monaco – tanto per non lasciarci dubbi sulla genuinità delle sue elucubrazioni a cavallo fra Giudei e costellazioni, ci mancava ritirassero fuori pure Fatima - finirà infilzato dal pennacchio di una cattedrale in una delle sequenze più riuscite della pellicola, assieme a quella del suicidio della prima bambinaia di casa-Thorn. Sulla base delle sue indicazioni Thorn ed un fotografo improvvisatosi detective dell’occulto partono, un po’ alla Indiana Jones, alla ricerca degli strumenti necessari ad immolare il diavoletto: prima in Israele, per procurarsi dei pugnali. Poi, in un improbabile cimitero etrusco vicino Cerveteri, per chiarirsi un po’ le idee su quale fosse la verità del passato. Il fatto è: non vedo un senso nel reimbarcarsi in una trilogia di questo tipo avvolgendola di una melassa politically correct e, soprattutto, senza avere nemmeno una buona idea per permettere alla pellicola di sollevarsi nel marasma dei film della categoria “Diavolo alla conquista del Mondo”. Tutto qui. “Omen” è dignitoso, abbastanza coinvolgente, ha una fotografia davvero eccellente in quel contrasto continuo fra mood fuligginoso ed interni scintillanti (opera di Jonathan Sela). Dunque merita la spesa se uno ci va senza avere grandi pretese. Troverà il montaggio serrato da colpo al cuore, la steadycam al momento giusto, attori mediamente credibili anche se parecchio imbalsamati. E una storia universale. Ma nulla di più se non una diligente rivisitazione di genere. E mi pare inoltre che nel riadattamento si sia giocato molto sul lato semiotico della vicenda, cercando in qualche modo di farne una specie di “The Devil Code”, incasellando eventi moderni e post-moderni nelle profezie delle scritture. Due palle. Voglio dire: è vero che il lavoro ermeneutico sui testi sacri è una delle chiavi più affascinanti che il Cristianesimo abbia lasciato in serbo a registi, scrittori e sceneggiatori. Ma le cose bisogna saperle fare con stile. Insomma: è un remake di un horror come ve lo aspettereste, che so, da un regista di spot pubblicitari che ha da poco debuttato con un polpettone cone “Behind Enemy Lines”. Che è – toh! Ma guarda un po’ – proprio il profilo preciso preciso di John Moore. Il director di questo insipido e spuntato Omen. La cosa più bella: la locandina. La cosa più curiosa: una improbabile Roma, nell'incipit, che pare una specie di Tripoli occidentale.
Articolo del
11/06/2006 -
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