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Triste il panorama cinematografico che ammorba questa estate italiana: film che finiscono con il somigliarsi un po’ tutti, una sorta di ripetizione interminabile della stessa partitura, restituzione paradigmatica della serializzazione di un certo tipo di cinema che non ha nulla da dire. A dominare incontrastato è l’inossidabile cinema medio americano, quello totalmente superficiale della commedia, servito in pura salsa demenziale. Gli scaldapanchina – The Benchwarmers è l’ennesima, stanca, variazione sul tema del filone tristemente immutabile “del perdente”, qui declinato in chiave sportiva, il titolo è già esplicativo del suo understatement. La pellicola ci sa di già vista, con infinite situazioni irrimediabilmente sbiadite, che è facile rivedere in altre commedie e che ripropongono la storia risaputa, il modello, il vecchio archetipo dello scontro tra nerd e bulli di molto cinema a stelle e strisce. Lo spunto di partenza del film è questa volta la rivincita delle riserve. Va da sé che la storia è quella che ognuno può immaginare, di originalità nel plot ce ne è ben poca. Tutto sembra alla fine prevedibile e scontato. Questa la storia: tre amici di vecchia data, Gus/Rob Schneider, Richie/David Spade e Clark/John Heder, giocatori sfigati di baseball, hanno sempre scaldato la panchina della loro squadra, decidono di rifarsi da grandi, grazie all’amicizia con un facoltoso miliardario e mettono insieme una piccola squadra di baseball per partecipare nel campionato juniores. Come avrete capito il film di Dennis Dugan, è il classico filmetto demenzial-giovanilistico estivo, dallo scarsissimo successo al botteghino sia in patria che in Italia, una commedia leggera e grossolana, senza troppe pretese, che gioca la carta della comicità demenziale e del character di Rob Schneider (produce la Happy Madison, ovvero la casa di produzione dell’amico di Rob Schneider, Adam Sandler, produttore di quasi tutti i suoi film fin dagli esordi). L’autore punta quindi tutto sulla caratterizzazione dei personaggi a discapito del linguaggio cinematografico, dei suoi segni e dei suoi significanti. Una comicità disorganica, fatta di sketches di luoghi comuni, con una sceneggiatura debole e frammentata, rivolta rigorosamente ad un pubblico di teen-ager e anche le gag, volgari e gratuite, non riescono a risollevare la situazione. Nella lagna che ne deriva anche la musica non riesce a risollevare la situazione. Tutto il cast è perfettamente congeniale al film. Dugan affianca due degni compari alla maschera comica-demenziale di Rob Schneider: David Spade, il personaggio dell’”infantile” ormai congeniale all’attore fin dai tempi di Dickie Roberts e John Heder lo “stupido” che deve invece il suo successo grazie all’interpretazione di Napoleon Dinamite. Comunque la vicenda è sol un pretesto, messa al servizio ai vari Dugan di turno, che continuano l’ascesa del cinema “estivo” americano. Questo tipo di comicità denuncia il carattere principale e il fine di un sistema produttivo dove di solito la risata è luogo deputato di uno stato culturale degradato e degradante, destinato al piacere – ma diverte davvero un film del genere? – di certe “nicchie” spettatoriali. Inutile aggiungere altro.
Articolo del
29/07/2006 -
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