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Fallisce l’ultima prova di Claire Simon, Ça Brûle, un melodramma a tinte fosche, che non brucia a fondo come dovrebbe e forse vorrebbe l’autrice francese, che si diverte a giocare con la carta della finzione narrativa ma l’operazione le riesce solo a metà. Claire Simon, professoressa alla FEMIS di Parigi, regista autodidatta e militante negli anni ’70, è anche un autrice che ha percorso parallelamente nella sua carriera il documentario e la finzione, la sua è un opus che alterna le due anime del cinema, e con Ça Brûle ritorna alla carriera fictional. Il tentativo è quello di raccontare e filmare il desiderio, quello del corpo di Livia, la giovane protagonista che “brucia” per l’amore impossibile per il quarantenne pompiere Jean Susini, che viene pedinata dalla Simon nei suoi vagabondaggi nella provincia apatica, pigra e silenziosa francese. “Ça Brûle è prima di tutto la materializzazione di un innamoramento che non può essere fermato e che infiamma il corpo dell’adolescente prima di propagarsi in tutto il film” racconta la stessa Claire Simon in un intervista. La m.d.p. incalza la sedicenne protagonista, scegliendo di filmare la metodica ritualità delle sue azioni e quelle alienate dei suoi compagni di avventure e i colori e i rumori della Provenza arsa dal sole estivo, paesaggio caratterizzante, e luogo deputato a coro alle azioni dei personaggi. Al centro sta una storia qualunque di amore maudit, il riciclarsi a fondo della congiuntura canonica di Eros e Thanatos, tra il flusso innarestabile dell’inconscio e la freudiana pulsione di morte. Lo stile della Simon è all’insegna del realismo, anche quando i contorni favolistivi della storia (vedi il tragico finale: i due amanti che muoiono abbracciati tra le fiamme che invadono la campagna; la fiamma della passione/ossessione peccaminosa di Lucia si trasforma banalmente in un incendio distruttivo, tra l’altro causato dalla stupidità dell’adolescente, un fuoco che nemmeno il suo amante pompiere riuscirà a spengere) prendono il sopravento sulla verità, prediligendo la struttura romanzesca della finzione. Una cifra realistica che passa attraverso un cinema di fiction a tendenza semidocumentaristica. Un cinema quello della Simon che si spoglia di tutti gli orpelli: regia essenziale e apparentemente semplice - pochi movimenti di macchina - e gesti scanditi da lunghi silenzi dei personaggi. Così la sobria struttura narrativa ci conduce con un accelerazione drammatica verso il finale, lasciandoci una sensazione di incompiuto, di assenza pressoché assoluta di sottotesti, la storia dell’autrice sembra non avvertire la minima urgenza di evadere dall’ovvietà. Le buone intenzioni della regia, visibili nella prima parte del film, sembrano arrestarsi fatalmente, vittime dell’eccesso narrativo. La pellicola non è ancora arrivata sugli schermi italiani, ma ha fatto il giro di alcuni importanti festival internazionali, dopo incursione alla Quinzaine des Rèalisateurs di Cannes 2006 è stata presentata nella sezione “open air” nella piazza principale di Pesaro alla 42esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (nel 2001 la Simon era già presente alla Mostra di Pesaro con 800 km de différence, realizzato in alta definizione).
Articolo del
01/08/2006 -
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