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Se “Batman Begins” era un prodotto d’avanguardia, con il suo intento di riscrivere e aggiornare le origini del Pipistrello, “Superman Returns” di Bryan Singer è sicuramente vintage, dato che ricostruisce con tale fedeltà i vecchi e amatissimi film di Superman di più di 20 anni fa, da farci fare un delizioso tuffo nel passato. Innanzitutto l’assunto di partenza del film è deliziosamente metacinematografico: così come Superman era stato assente dalle sale per 19 anni (dall’ultimo e assolutamente dimenticabile Superman IV, col compianto Chris Reeve), così si immagina che l’eroe sia effettivamente rimasto assente dal nostro pianeta per ben 5 anni, perché in ossequiosa visita ai resti del suo pianeta natale, il lontano Krypton; nel frattempo l’umanità lo ha pressoché dimenticato, e tira avanti come può, senza un Salvatore, tra disastri naturali e attentati terroristici. Lois Lane, la giornalista amata dall’eroe, non solo si è rifatta una vita, mettendo su famiglia e sfornando un pargoletto (invenzione del regista), ma ha scaricato il suo dolore di donna abbandonata scrivendo un articolo da premio Pulitzer: “Perché il mondo non ha bisogno di Superman”. Alla fine si dimostrerà proprio il contrario: c’è più che mai bisogno di lui. Del resto il padre alieno dell’eroe, Jor-El (un Marlon Brando resuscitato dal digitale, tangibile icona di collegamento con i vecchi film), non aveva forse mandato il Suo Unico Figlio per aiutare l’umanità? Sì, i riferimenti cristologici nella saga di Superman sono sempre stati evidenti, sebbene i fumettisti creatori dell’eroe, Siegel & Shuster, fossero ebrei… Il regista Bryan Singer, nonostante qualche originale colpo di mano e lo splendore tecnico degli effetti speciali di oggi, firma un film elegantemente classico, vivacemente sceneggiato (dagli autori di X-Men 2) e gradevole nei dialoghi abbondantemente ispirati al passato, e resuscita (perché il cerchio sia completo) persino uno dei marchi universali del personaggio: l’eroica colonna sonora di John Williams. Non si può certo pensare a Superman senza che quella musica ci riecheggi nelle orecchie… Non potendo però resuscitare anche il grande Christopher Reeve (cui il film è dedicato), Singer trova nello sconosciuto Brandon Routh un clone impressionante del vecchio attore; che però, al passo con i tempi, perde la recitazione brillante e autoironica dell’originale in cambio di un atteggiamento schivo, ombroso e meditabondo. Anche Lois Lane ha il nuovo, virginale volto di Kate Bosworth, molto meno grintosa della precedente Margot Kidder (la cui intraprendenza mascolina era modellata su Katharine Hepburn); l’arcicattivo è sempre il calvo genio del male Lex Luthor, un gigantesco Kevin Spacey, sornione come al solito, che non fa rimpiangere per nulla l’originale Gene Hackman. E’ possibile cambiare qualcosa in un mondo relativamente inalterabile come quello di Superman, i cui fumetti vanno avanti ininterrottamente da 68 anni? Per tenerlo in linea coi tempi, Singer non può che fare un timido passetto alla volta, centellinando elementi di novità (tra cui la tenera scena finale tra Superman e il figlio di Lois, che ha lasciato perplessi molti fan dell’eroe): Ma la domanda è: vogliamo davvero che cambi uno dei miti del nostro tempo?
Articolo del
13/09/2006 -
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