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In questi ultimi anni il cinema argentino ha una sua new wave autoriale, un laboratorio di nuovissimi autori che vogliono raccontare e che si impongono all’attenzione della critica e del pubblico. Una generazione di cineasti che proprio durante questi anni di devastante crisi economica sono riusciti a vivere un’importante momento creativo, come dimostra la loro presenza a festival internazionali. Venezia 63, sensibile e attenta alla contemporaneità – come l’ultimo Pesaro Film Festival che ha reso omaggio al cinema argentino del terzo millennio - ha esplorato il misconosciuto cinema argentino contemporaneo portando alla luce emergenti quali Diego Lerman, che passati quattro lunghi anni dal suo primo lungometraggio, aggiunge un ulteriore tassello in quella che potrebbe diventare una cinematografia di grandi speranze. Il giovane talentuoso regista-sceneggiatore-attore argentino di Mientras Tanto, conosce tutti i trucchi del mestiere: ha già vinto con l’esordio Tan de Repente (pellicola nata dal suo primo progetto, il cortometraggio La pruena, ispirato a un testo di César Aira) il Pardo d’argento a Locarno 2003. Mientras Tanto, inserito nel palinsesto delle Giornate degli Autori, è un’opera corale, girata come fosse un puzzle erratico, attraverso il pedinamento, la pellicola focalizza l’attenzione non a un personaggio principale, ma un insieme di personaggi, ad un coacervo di storie da seguire - e qui possiamo tirare in ballo l’estetica di Za che sembra aver trovato forma - zavattinianamente. L’autore coglie momenti di crisi e di cambiamenti, anche difficili di una decina di personaggi, un gruppo di uomini e donne comuni, di età e classi diverse, confusi, alle prese con problemi quotidiani differenti, che però nonostante tutto riescono ad andare avanti, a modificare e trasformare situazioni apparentemente negative. Dipanandosi con piglio a più livelli, la fabula ci conduce fra la vicenda di chi minaccia un ristoratore perché flirta con la propria moglie; quella di chi licenziata, per rabbia rompe tutti gli oggetti del luogo di lavoro; quella della coppia che volendo avere un figlio a tutti i costi, si rivolge alla fine per disperazione ad un inseminatore a pagamento; poi alla storia di un cieco sporcaccione che fa delle cose atroci; e ancora quella di chi vorrebbe andar via, emigrare a Ibiza per poter cambiare e migliorare la propria vita; e infine al racconto grottesco del cane viziato e dispettoso, come i suoi padroni, che ne combina di tutti i colori. Intimista, di delicato impatto visivo, Mientras Tanto è certo, legato a un cinema profondamente “femminile”, dove le donne sono la cartina di tornasole: rivelano la fragilità e le debolezze degli uomini. Una struttura filmica che riflette una situazione di donne che è anche nostra: la dipendenza dalla madre, donne che hanno altre donne sotto la loro cura. Un’umanità che cerca una nuova via, e sullo sfondo, appena tratteggiato ma presente, Lerman, mette i rivolgimenti e l’atmosfera che la crisi argentina ha prodotto. Buenos Aires, però, non si vede molto, è come se la città fosse vissuta solo attraverso le storie dei personaggi. Sono loro che portano il senso della città, con i loro drammi e con l’irrisolto presente. Il corpo attoriale - non si può negare la bravura di tutti gli attori - diventa così mappa, si trasforma in un paesaggio geografico contemporaneo, disegnato a colpi di destino che scorre. La fusione di tutte queste storie che si incrociano e si intrecciano è fatta in maniera mirabile: azioni e movimenti reali, gesti autentici, tracce di vissuto (come i titoli di testa che sono programmaticamente senza sonoro, gli unici rumori sono quelli diegetici provenienti fuori campo, che danno l’imput alla storia) sono le chiavi di volta di una scelta registica tragicomica, che servono a Lerman per sfiorare nell’intreccio temi delicatissimi (come la fecondazione assistita, il destino, il licenziamento), e imprimere anche concretezza e senso ritmico alla narrazione. La pellicola si muove così a cavallo tra il dramma e la commedia, esplorando la fragilità dell’amore, il dolore delle scelte, le occasioni che mietras tanto/nel frattempo ci vengono offerte in un mondo contemporaneo tutt’altro che esaltante. Un mondo dove non si riesce a fare l’amore se non con la violenza, e dove lo sterco del cane vale di più della dignità della persona. Eppure alla fine c’è un bel messaggio di speranza: una realtà politica-economica-sociale, quella della Buenos Aires di oggi, caratterizzata da una grave crisi, ma anche da una ripresa, che rispecchia specularmene anche la voglia dei personaggi di ricostruire la propria vita; lo stesso titolo scelto dall’autore, fortemente significativo e simbolico, va in quella direzione di attesa come cambiamento. Il classico film indipendente girato con pochi mezzi, a dimostrazione che i mezzi sono molto importanti, ma qualche volta non sono determinanti.
Articolo del
25/09/2006 -
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