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Dopo essere riuscito ad andare a Berlino 2003 con PTU e a Cannes 2004 con Breaking News, il prolifico (45 film in 26 anni di carriera, sforna anche tre o quattro film all’anno) maestro Johnny To, una delle firme di punta del cinema hongkonghese, approda in concorso a Venezia 63 con l’adrenalinico gangster story Fangzhu – Exiled. Nonostante sia attivo da circa venti anni, è la prima volta che il regista/produttore indipendente è presente in concorso a Venezia (l’abbiamo già visto a Venezia 61, ma nella sezione Mezzanotte con Throw Down), d’altra parte la distribuzione italiana lo ha spesso maltrattato (gli unici film usciti in Italia sono quelli visti solo in DVD: The Mission e Breaking News), relegandolo in una oscurità sorprendente tipica di chi è lontano a scelte commerciali, e anche questa ultima pellicola sarà assai improbabile che arrivi sui nostri grandi schermi. Exiled pur essendo un action-movie con tutte le carte in regola, racconta una storia che va molto in là di un qualsiasi film d’azione di Hong Kong. Con Exiled, infatti, il prode To cavalca il suo cinema, quello che si muove tra l’action movie e il cinema d’autore, tra la nera autoironia e il romanticismo, tra i valori dell’amicizia virile e l’acrobatiche sparatoie e naturalmente tra l’immancabile riflessione sul destino che decide della vita e della morte dei protagonisti (il testa o croce per decidere del caso, come per esempio se colpire o no il pulmino portavalori). Le lunghe scene d’azione sono intervallate da indimenticabili lezioni morali sull’amicizia, sul rispetto e sulla fedeltà del codice d’onore anche tra criminali (vedi la sequenza finale con i protagonisti che ritornano per morire con l’amico un chiaro omaggio al western di Peckinpah de Il mucchio selvaggio o quella iniziale con i killer che si mettono a cenare con la loro vittima). Utilizzando una storia di fondo molto semplice, ma che trascura puntualmente, in nome di scelte estetiche personalissime e spettacolari, il regista mette in scena l’allegro gioco al massacro, brand del cinema di Hong Kong. Stavolta racconta di quattro killer di Hong Kong che sono incaricati di uccidere un loro vecchio collega, un ex killer che si nasconde con la propria famiglia (moglie e figlio appena nato), per aver attentato alla vita del suo boss; dopo uno scambio di armi da fuoco stupefacente, i cinque amici d’infanzia, decidono di compiere insieme l’ultima missione per raccogliere il denaro necessario per mantenere la famiglia del futuro condannato a morte. Il tutto è ambientato in un caos generale, nella zona franca di Macao del 1998, colonia portoghese che sta per entrare sotto l’amministrazione del governo cinese e ogni banda quindi cerca l’occasione per fare soldi facilmente. Ma l’amicizia di vecchia data è sacra, e non verrà dimenticata… A brillare in questo banalissimo canovaccio, non è solo la componente tecnico-stilistica ritmicamente e visivamente straordinaria o la bravura degli interpreti comunque esemplari, ma anche il contenuto. Il regista riesce a sfruttare pallottola dopo pallottola, questo semplice canovaccio, come al solito non proprio originalissimo, ricco di situazioni e figure retoriche, arricchendo le scene violente di sottotesti, di una dimensione antieroica, che oscilla spesso nel grottesco e nell’humour nero. Il metteur en scène non fa un cinema quindi di sola forma, nonostante la perfezione estetica dell’inquadratura sia evidente. Quello di To è un manierismo mai fine a se stesso, un’eleganza formale ricercata, ma mai superba o abusata, tutto serve per costruire un senso. Ecco allora i magnifici dolly, o quel lirismo nell’uso dei ralenty che appartiene solo a lui, o ancora i primi e primissimi piani con i loro echi leoniani.
Articolo del
19/10/2006 -
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