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Kiyoshi Kurosawa, classe ’55, è uno degli esponenti dei più significativi - insieme a Takashi Miike - della new wave dell’horror giapponese. Come Miike, anche Kurosawa è partito dal cinema di genere, una cifra stilistica che ha occupato un ruolo chiave e decisivo nella sua filmografia. È proprio dalla serialità del genere che ha preso il via la sua indiscutibile carriera (Ring, Ju-On e Pulse/Kairo, quest’ultimo storia di suicidi e Internet è uscito da noi soltanto questo settembre anche se il film è datato 2001, una scelta distributiva palese, visto che di recente negli USA Jim Sonzero ha rifatto questa pellicola con una sceneggiatura firmata niente meno che da sir Wes Craven), anche se in Italia è tra i tanti nuovi autori della cinematografia giapponese, uno dei nomi meno presenti nelle sale, quasi uno sconosciuto, ancora ignorato dal pubblico e snobbato dalla critica e dalla nostra poco attenta (naturalmente questo non è una novità, ma una prassi!) distribuzione, una censura che relega ingiustamente i film di Kurosawa al circuito festivaliero. Nella sterminata e interessante carriera di Kiyoshi Kurosawa, che conta ad oggi circa una diciasettina di film distribuiti in diciassette anni di attività, i video a basso costo da lui diretti, hanno contribuito a rilanciare il genere horror, insieme a Hideo Nakata; filo rosso conduttore di questa nuova onda giapponese è un orrore legato al non visibile, dove l’elemento orrorifico è capace di irrompere all’improvviso nella realtà di tutti i giorni trasformando la gente comune in freak. Sakebi – Retribution presentato fuori concorso a Venezia 63, è il quarto horror prodotto da J-Horror Theatre, dopo Ring, Ju-On e Pulse/Kairo. In Sakebi – Retribution si racconta la storia del detective Yoshioka che sta indagando su una donna morta per annegamento. Nel frattempo il detective viene ossessionato dall’immagine di una donna vestita di rosso e comincia così a perdere lentamente la memoria e il senso della realtà. Col passare dei giorni altri delitti vengono scoperti. Una strana sensazione lo tormenta: potrebbe essere lui il serial killer che sta cercando? Alcuni elementi trovati sui luoghi del delitto farebbero pensare che Yoshioka possa essere l’omicida… Un horror di impianto classico, dove la classica ghost story di riferimento viene reiterpretata, un’escamotage per parlare di solitudine. Si intuisce che l’horror di Kurosawa è molto diverso dalla media. Più che un cinema horror, l’estetica di Kurosawa si confronta con il mito orrorifico, un cinema che affianca il genere senza mai svilirlo, anzi rinnovandolo, attraverso argomenti e temi metafisici, molto sofisticati. Tra cinema nel cinema, desiderio e realtà, visioni del non visibile, una pratica che si interroga costantemente sul proprio senso, mettendo in discussione la propria stessa natura di “fiction”. Certo sia i temi che gli stilemi abituali dei testi di Kurosawa sono di difficile lettura, ricchi di ribaltamenti semantici, seguire la trama ondivaga dei suoi film è molto complicato, ma la tensione e l’atmosfera sinuosa che ne deriva, reggono sempre fino alla fine. L’originalità di Retribution va ricercata in particolare in questo universo stilistico e tematico tipico della sua cinematografia, dove gli eventi più mostruosi accadono senza stacchi, con la macchina da presa che insegue i personaggi, in lunghissimi piani sequenza, e a volte anche senza musica. È una scelta di stile, una pratica che fa avanzare la storia senza mai mostrare la violenza, attraverso una serie infinita di segni di non facile lettura, che hanno più presa rispetto a un effetto visivo o sonoro creato appositamente per far sobbalzare lo spettatore sulla poltrona. Sakebi, ennesima dimostrazione di consapevolezza e maturità cinematografica e di sorprendenti virtuosismi, visivi e narrativi.
Articolo del
15/10/2006 -
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