|
Eric Steel, proveniente da diverse esperienze produttive, con The Bridge, esordisce nel documentario, raccontando con materiali della “realtà” e testimonianze commoventi, uno spaccato drammatico della società americana, ovvero la storia del celebre Golden Gate, il monumentale ponte di San Francisco, attraverso un punto di vista molto particolare. L’affascinante e romantico ponte rosso del 1937, soprannominato così per il suo colore, simbolo internazionalmente riconosciuto di San Francisco, ponte che sovrasta il Golden Gate, lo stretto che collega l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco, è la struttura iconica più fotografata del Nord America, viene infatti visitato ogni anno da 6 milioni di persone; e sfondo prominente di location, molto amate dalla settima arte (vedi Scorpio, il personaggio di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, che dirotta uno scuola-bus pieno di bambini e costringe il guidatore a dirigersi verso nord attraverso il ponte, o ancora è l’area dove si gettava Kim Novak in La donna che visse due volte, e infine lo vediamo anche nel film 007 Bersaglio mobile, dove vediamo James Bond e Max Zorin che combattono in cima ad una delle torri del ponte). Ma il Golden Gate ha anche il triste primato di essere uno dei luoghi più frequentati e meta preferita dagli aspiranti suicidi (si registra in questo sito il maggior numero di suicidi al mondo, la media è di un suicidio ogni due settimane). Il provocatorio documentario è stato presentato nella sezione Extra, il contenitore più sperimentale e originale della prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma, e fa parte di una serie di lavori che non sono una novità per il pubblico, ma sono ripescaggi di altri festival, in questo caso si tratta di un’opera passata al Tribeca Film Festival, la famosa rassegna di New York che ha collaborato con la kermesse romana. Eric Steel, per esplorare, documentare, indagare e capire le motivazioni che spingono le persone alla morte volontaria, ha soffermato il proprio sguardo sul Golden Gate per l’intero anno 2004, riprendendo le ventiquattro morti avvenute in quel periodo, e salvandone anche qualcuna. L’opera spicca per la capacità estrema di coinvolgere e far pensare lo spettatore sul tabù religioso-culturale del suicidio della nostra società occidentale. Il documentario ha fatto molto discutere sui confini tra il rispetto di mostrare il gesto estremo della morte volontaria di qualcuno e la dimensione voyeuristica, il guardare dal buco della serratura gli altri, perversione che sempre più sembra appartenere alla cultura occidentale. Su questa base spettacolare si è costruito tutto l’intrattenimento offerto dalla televisione contemporanea. Ma nella messa in scena di Steel non troviamo nessuna traccia di voyeurismo, anzi qui ci sembra abbondantemente superato: le immagini che registrano l’atto estremo, l’ultimo istante di vita diventano paradossalmente irreali. Interviste a parenti e amici dei suicidi allora diventano eticamente necessarie per cercare di dare una spiegazione: “Non so perché le persone si uccidono eppure ci vuole poco a capire” oppure “Forse si prova un senso di sollievo dal dolore..”, o ancora “non so se le persone ci pensano molto, o come facciano a decidere”, questi sono soltanto alcuni degli interrogativi che i familiari si pongono. E poi ci sono le interviste di quelli che sono sopravvissuti al salto, come quel ragazzo che si è salvato perché è entrato in acqua dai piedi e ha riportato però lesioni interne e numerose fratture. Forse è presto per tracciare delle considerazioni, ma finalmente, il documentario, un’arte cinematografica che non sempre compare nei festival cinematografici, riesce a trovare un suo spazio. Questo è un primo cenno, speriamo che la grande “industria” si apra sempre di più a questo genere!
Articolo del
30/10/2006 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|